In Cina sono stati confermati quattro nuovi casi della misteriosa malattia polmonare che sta dilagando nella città di Wuhan: il numero ufficiale di casi in città sale così a 45, ma secondo gli scienziati inglesi dell’Imperial College di Londra i casi sarebbero molti di più, addirittura 1700. La cifra è stata stimata tenendo conto del fatto che tre sono stati “esportati” all’estero. La malattia è un tipo sconosciuto di polmonite virale che fa parte della stessa famiglia della Sars, che tra il 2002 e il 2003 fece centinaia di vittime tra la Cina occidentale e Hong Kong: simile, ma meno letale. Le vittime accertate sono due, entrambe decedute a Wuhan.
Due casi della malattia – sottolineano gli scienziati – si sono verificati in Thailandia e uno in Giappone, tutti in persone provenienti dalla città cinese che ha 11 milioni di abitanti e un aeroporto internazionale. Lo studio in questione, pubblicato sul sito dell’università, è firmato da Neil Ferguson e traccia una proiezione basata proprio sul traffico aereo da Wuhan. Un focolaio di questa potata fa pensare a una possibilità di trasmissione da uomo a uomo, finora esclusa dall’Oms e dalle autorità cinesi. “Non c’è bisogno di essere allarmisti – afferma Ferguson intervistato dalla Bbc – ma l’ipotesi dovrebbe essere presa in considerazione seriamente”.
Secondo Gianni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di Sanità (Iss) l’allarme dei ricercatori inglesi sul numero reale delle infezioni “è credibile e non va sottovalutato. Oltretutto è frutto del lavoro di uno studioso del calibro di Neil Ferguson, uno dei più grandi modellisti a livello mondiale. Penso anche io che il numero di infezioni legate a questo virus possa essere superiore a quanto rilevato finora“. Le autorità cinesi fino a questo momento hanno parlato solo di trasmissione “da animali a uomo”, individuando il focolaio in un mercato di pesce e animali selvatici, chiuso il primo gennaio. Ma Rezza spiega che a far pensare ad una diffusione più ampia rispetto ai numeri ufficiali è anche il fatto che alcuni pazienti non avrebbero mai visitato il mercato in questione. “Inoltre, come spiegano i ricercatori britannici, la rilevazione di casi all’estero fa pensare ad un’esposizione più estesa: o il serbatoio di animali infetti è più diffuso rispetto al singolo mercato individuato dalle autorità, oppure potrebbe esserci stata una trasmissione interumana, seppur limitata”. Un’ipotesi fino ad ora esclusa dalle autorità cinesi. “Ma il contagio da uomo a uomo non si può escludere del tutto, considerato il comportamento degli altri coronavirus. E potrebbe essere avvenuta in casi particolari, ad esempio nei nuclei familiari”, ipotizza Rezza, ricordando che per ora non si sono registrati contagi tra gli operatori sanitari “Il che è un fatto positivo, ma le cose possono cambiare”.
Secondo il Centro Europeo per il Controllo delle Malattie il rischio di esportazione di un caso in Europa è “basso”, anche se ci sono tre aeroporti che hanno voli diretti con la città di Wuhan. Al momento, oltre a Thailandia e Giappone, anche Singapore e Hong Kong hanno intensificato i controlli negli aeroporti, e gli Stati Uniti hanno annunciato misure simili negli aeroporti di San Francisco, Los Angeles e New York.