Ecco il reportage pubblicato sul numero di Fq MillenniuM di dicembre e realizzato 60 giorni prima delle regionali nei centri lontani dalle grandi città. Dove il paese reale supera la dialettica politica e dove il primato della sinistra non era mai stato messo in discussione prima dell'arrivo di Salvini e del Carroccio
Il signor Bruno prende la moglie per mano e supera le transenne della polizia. Il cartello dice: “Attenzione piena del Po in corso”. Lui si avvicina al fiume e cerca con gli occhi il limite che si era fissato nella mente: «Ho una brutta notizia, l’acqua è salita». Fa un sospiro. «Ne ha di santi in paradiso Matteo Salvini». La moglie lo tira indietro per la giacca: «Ma che dici. Mica ci si arrabbia solo per questo». Boretto, lido del fiume Po: mancano 24 ore al passaggio della piena di novembre, due mesi esatti alle elezioni Regionali. Per la prima volta la destra guidata dalla Lega può prendere l’Emilia-Romagna e anche un’inondazione farà la differenza. L’impresa è storica: conquistare le terre rosse per arrivare al governo del Paese. Per capire come “il gioiello della sinistra” sia diventato contendibile dai “barbari” e come gli elettori siano pronti a seguirli, Fq Millennium è andato in provincia, lontano dalle grandi città e dai riflettori.
Perché, qui come nel resto d’Italia, la partita si deciderà in periferia. E se in pianura si monitorano le bizze del fiume, sull’Appennino quattro comunisti passati alla Lega siedono intorno a un tavolo: «La sinistra la pagherà. Ha abbandonato la montagna e la pancia della sua gente». Intanto a valle, dove a sette anni dal terremoto si costruisce ancora, un sindaco e un deputato allevatore di maiali festeggiano la presa leghista del potere. Si sono conosciuti facendo salami e quando dicono che «il Pd è roba da salotti», a loro credono tutti. Quaranta chilometri a ovest la storia cambia di nuovo: nel paese della coop fallita la sinistra regge candidando lo studente di 23 anni; mentre in quello con il 18% di stranieri, il sindaco Pd ha già sfidato Salvini e non ha dubbi: «Nemici così li conosciamo, resisteremo». Ogni paese, un’anima diversa. Mai come questa volta la sfida si giocherà all’ultimo voto.
Castelnovo Monti
Sono le due del pomeriggio e la piazza del centro di Castelnovo Monti è deserta. Sotto la Pietra di Bismantova, la montagna dell’Appennino che ispirò il Purgatorio di Dante, si aspetta che gli abitanti rientrino dal lavoro in città. Qui la Lega ha una delle roccaforti: 41% di voti alle Europee con punte al 46 nei dintorni. I militanti si danno appuntamento in casa: da queste parti anche una riunione al bar fa rumore. «Si chiama mafia politica», attaccano. «Se non la pensi come loro ti fanno la guerra». Loro sono i Ds prima, il Pd ora. Nel salotto siedono in cinque: in tre dicono di aver iniziato a fare politica con il Pci, in quattro rivendicano di essere figli di partigiani: «Di quelli che la lotta non l’hanno fatta solo a parole».
Il primo a parlare è il consigliere Alessandro Davoli, uno che ha mollato la fede “rossa” per colpa dei dirigenti: «Sono una casta. Fanno i loro interessi e prendono in giro lavoratori e ceti deboli». Davoli vanta una serie di scontri in tribunale con gli esponenti della sinistra: «Ho scelto Lega per combattere il sistema». Ha votato anche M5s: «Poi sono spariti. Il loro portavoce dopo l’alleanza col Pd ha annunciato che brucerà la maglia col simbolo». Antonio Manini è il più pensieroso: si fa chiamare “anarchico leghista” ed è un artigiano in pensione. Ha iniziato nella Figci, «finché non ho aperto gli occhi». «La Lega dà speranza, è l’unica forza politica che si preoccupa che la pancia della gente sia piena. Si è visto quelli con la testa cos’hanno combinato. E ora sanno solo accusarci di essere fascisti». Interviene Marco Coriani, imprenditore ex An: «Hanno unito politica ed economia. La borghesia in città è fatta da dirigenti di partito». Per Lino Franzini, ex sindaco Fi dell’Appennino, conta il territorio: «Mi batto da anni per la costruzione di una diga a Vetto. Gli altri vanno via, noi restiamo».
La cavalcata del Carroccio però si è fermata in Comune: la montagna ha votato in massa per la Lega a Bruxelles, ma ha riconfermato il sindaco civico Enrico Bini. Non uno qualunque: ex presidente della Camera di commercio provinciale è stato tra i primi a denunciare la ’ndrangheta. E se il maxiprocesso Aemilia ha portato a 125 condanne, è anche merito suo. «Ero iscritto al Pci, però la tessera Pd preferisco non prenderla», dice. Proprio ora che l’Emilia è passerella dell’antimafia, Bini se ne sta in disparte sull’Appennino: «Sono stato isolato e in quel momento mi hanno aiutato i 5 Stelle e il mondo del volontariato. Il Pd mi accusava di parlare male del territorio. Riuscii a farmi sentire in commissione Antimafia grazie al leghista Angelo Alessandri». Erano gli anni dell’ex ministro Graziano Delrio sindaco. «Io lo chiamo il sacco di Reggio Emilia e come ho visto io, devono aver visto anche altri. Ma c’era una cupola». Bini ora si occupa della sua montagna e di come ripopolarla. Dal 2017 la Regione ha chiuso il punto nascita e depotenziato l’ospedale: quassù è il cuore di tutte le battaglie. Mentre il sindaco media, le donne del comitato “Salviamo le cicogne” sono scese in piazza con le fiaccole. Parla Nadia Vassallo: «Il paese non ha più un’identità. Valiamo così poco?». E poi c’è «quell’altra storia»: «L’ospedale di Scandiano a pochi chilometri non è mai stato chiuso. Lì sono nati Romano Prodi e il deputato Pd Andrea Rossi. Serve altro?».
Castelnovo Sotto
Se ti lasci la montagna alle spalle, passi la casa di Giovanni Lindo Ferretti (quel Giovanni Lindo che dal punk rosso dei Cccp è passato a Fratelli d’Italia) e segui la via per la pianura, arrivi a Castelnovo Sotto. In mezzo ai campi e con l’orizzonte di nuovo lontanissimo. E nel paese gemello, almeno nel nome, il mondo è ribaltato. Qui il Pd alle Europee ha vinto col 40% e governa dal dopoguerra nonostante il fallimento della locale Coopsette. Anzi proprio perché il partito, quando le cose si sono messe male, dice di aver aiutato soci e lavoratori. Qualche scossa c’è, la Lega insegue e il Pd, per sopravvivere, alle amministrative del 2018, si è inventato la candidatura del 23enne studente di filosofia Francesco Monica. «Non c’erano altri pazzi disponibili», borbotta un negoziante. Il centro è una piazza, due chiese, una sala polivalente con oratorio e circolo Anspi insieme. «È in gamba. È il primo a non essere vicino alla coop, fa quello che può». Indica tre fogli appesi sotto i portici: «Sono i risultati delle Europee. 1154 voti a noi, 1133 ai leghisti. È un avvertimento: se vince la Lega staremo tutti peggio». Ma, c’è un ma: «Pagheremo il buonismo sugli immigrati».
Il sindaco di venerdì sera è chiuso dentro il municipio. Pochi social network, voce pacata e a ogni frase la citazione dell’intellettuale che l’ha pensata prima di lui: «Sono più un arnese da Prima Repubblica che l’immagine del nuovo», ride. Qualcosa di giovane ce l’ha: fino a Zingaretti è sempre stato in minoranza. Ma la polemica non è nel suo vocabolario: «Se governiamo da così tanto tempo, è perché abbiamo dato delle risposte». Predica l’importanza dell’unità del «tessuto sociale», ovvero il modello cooperativo. Per dire, i migranti qui li ha messi a lavorare per il carnevale, uno dei più antichi d’Italia e la tradizione locale per eccellenza. «Non basta che ci diciamo “bravi”. Non siamo amministratori delegati». Per Monica il partito deve ascoltare le voci delle “sardine”: «Non chiedono una tangenziale, ma una visione. Da Dozza a Fanti, i politici che hanno fatto il modello Emilia sono partiti da lì». Castelnovo se ne sta nel mezzo di strade fatte per portare altrove e nella nebbia le città le puoi solo immaginare. «L’eccellenza è tale se vicina al territorio. Io? Costruirò ciclabili per avvicinare le frazioni».
Mirandola
Nella bassa però, la storia non è una sola. Quando arrivi a Mirandola, 54 chilometri più a est, e chiedi del centro, la risposta da sette anni è sempre la stessa: «È in costruzione». Sette anni dopo il terremoto, la piazza è nascosta tra tendoni e cantieri. «E vi stupite del nostro voto?», Mauro sghignazza mentre spazza l’ingresso del suo bar. Sei mesi fa qui c’è stato un ribaltone storico: il leghista Alberto Greco ha vinto le Comunali dopo 74 anni di regno della sinistra. Era già il bis: un anno prima, il 32enne leghista Guglielmo Golinelli, professione agricoltore nell’azienda di famiglia, era stato catapultato in Parlamento. Uno che in campagna tra allevamento di suini e coltivazione di meloni va ogni volta che torna da Roma: «Ne ho bisogno, è casa mia». Con Greco si conoscono da tempo: facevano salami insieme nel tempo libero. «Ora lavoriamo per questa città».
Golinelli quando è stato eletto ha dedicato la vittoria a Mauro Manfredini, storico consigliere regionale della Lega e leader dei comunisti padani: «Mi fece la tessera quando avevo 21 anni. Ma la sinistra di cui parlava non c’è più. La Lega è il vero sindacato del territorio. Il Pd ha scelto le élite, le banche invece delle fabbriche. È diventato roba di città. Greco ha vinto perché qui hanno detto “è uno dei nostri”». Il sindaco interviene: «Ci sono famiglie che da tre generazioni esprimono dirigenti di partito. La gente non ne può più». Mirandola, punta estrema della provincia di Modena, in 50 anni è diventata polo di eccellenza per la produzione biomedicale. «E la Regione cosa fa?», attacca Golinelli. «Declassa l’ospedale. Se c’è la piena, chiudono i ponti e siamo completamente isolati. Altrimenti le strade sono intasate dai camion perché nessuno ha potenziato le infrastrutture». L’analisi è impietosa e comprende anche la chiusura di un teatro e tre cinema. Ora toccherà alla Lega dare le risposte: in cima al programma c’è l’immigrazione. «Se vieni e lavori va bene, se stai a far niente in piazza e usi il nostro welfare no. Non è razzismo, è equità». Poi sentenzia: «Prenderemo la Regione. Le sardine ci hanno fatto un regalo. Non s’è mai visto qualcuno che protesta contro l’opposizione. La gente si irrita ancora di più perché il rischio fascismo non c’è».
Il nuovo municipio dista dieci minuti di macchina dal centro storico. Che anche in pausa pranzo rimane spettrale. Silvia arriva a passo veloce davanti al bar di Mauro: «Mi hanno rubato ancora in casa», dice. «E meno male che l’invasione degli stranieri era solo una percezione. Il Pd non avrà mai più il mio voto. Basta con l’assistenzialismo: abbiamo dato a tutti, ora pretendiamo delle regole uguali per tutti».
Luzzara
La sera prima che arrivi la piena del Po a Luzzara, il sindaco Pd Andrea Costa la passa al telefono. La procedura è un rito: organizzare le palestre per gli sfollati, coordinare i monitoraggi degli argini, aspettare che passi. «Siamo pronti», dice mentre la figlia disegna in un angolo dello studio. Siamo nella bassa di confine, terra natale di Cesare Zavattini e dell’arte naive, là dove l’argine fa una curva e porta quasi dritto in Lombardia: il Comune è il secondo della provincia per numero di stranieri residenti e il 50% dei bambini in età scolare è figlio di stranieri. E mentre intorno la Lega avanza, qui per ora il Pd regge. «Nel 2015 Salvini è venuto a farmi campagna contro e ho vinto con il 68%». Costa ora si candida in Regione. «Se la qualità della vita è alta, non c’è motivo di prendersela con gli stranieri. L’importante è comunicare le scelte. Non basta che io metta a bilancio 600mila euro per gli asili, devo spiegarlo».
Non facile nella pratica, in Emilia l’aria è cambiata. A gennaio il sindaco ha fatto un’ordinanza «contro l’odio»: chi insulta in rete o fuori è punito con letture e volontariato. Apriti cielo: è finito su tutti i giornali, bersagliato da Salvini in persona. Costa tira fuori il plico di lettere di ammiratori e sfila una cartolina con l’Ultima cena di Leonardo: «Un anonimo mi ha scritto che stuprerà e squarterà le mie figlie». Per questo è finito sotto protezione. «Il mio era il messaggio delle sardine oggi. Solo che i partiti non hanno più credibilità. Ma ce la faremo perché dalla nostra abbiamo i fatti. Da cosa devono liberare l’Emilia? Dai servizi garantiti a tutti, dal welfare di eccellenza? La Regione ha messo 400 milioni euro nel fondo per la non autosufficienza. Nessun altro in Italia riesce a fare lo stesso». Costa ci crede, come, da segretario provinciale, crede nel Pd. Quello del buco da due milioni di euro per la vecchia Festa dell’Unità: «Siamo già rientrati del 50%». E quello delle tessere dimezzate: «Ora ci siamo attestati sulle 6mila all’anno». Ma ai tempi d’oro si toccava quota 13mila. «La tessera è un distintivo e perché le persone la chiedano, le devo far innamorare». Su questa «battaglia culturale», il Pd ha ceduto. E malgrado l’ottimismo, è dura. «Noi siamo abituati a fare i porta a porta e guardare in faccia i nostri elettori. Per spiegare il governo Pd-M5s ho fatto 34 assemblee pubbliche in un mese». Non è la prima volta che da queste parti si vede arrivare la Lega, solo oggi fa più paura. Ma è come per la piena del Po: quando sale l’acqua, nessun intervento di emergenza serve se non sono stati preparati bene gli argini.
L’analisi
Mai nella storia la sinistra aveva rischiato di perdere la Regione. Il primo segnale d’allarme nel 2014, quando alle urne andò solo il 37% degli elettori. Ora, il 26 gennaio può succedere di tutto. Una delle incognite è il M5s: per definizione movimento, non ha una struttura e, pur essendo nato in Emilia, in molti comuni non è riuscito a radicarsi. Ma soprattutto correrà da solo nonostante i sondaggi ai minimi storici. «Siamo nati all’opposizione e non abbiamo paura di tornarci», spiega Davide Zanichelli, deputato originario della bassa emiliana. «Dallo stop agli inceneritori all’inquinamento: ci sono idee che possiamo portare avanti solo noi. Saremo i terzi incomodi e ci saranno sorprese».
Per il professor Gianluca Passarelli, ricercatore del Cattaneo e autore di La Lega di Salvini, bisogna considerare che gli elettori di una Regione così emancipata sono cambiati e «sono diventati più esigenti»: «Hanno un palato raffinato e non si accontentano più dei beni primari. In contemporanea i partiti faticano a leggere la società». È come se il Pd avesse sempre giocato contro un pessimo giocatore di scacchi: ha vinto, ma si è indebolito. «In più il clima di opinione nel Paese va a destra e la sinistra per non farsi trovare impreparata deve evitare di nazionalizzare la sfida». A fare da ago della bilancia sarà anche la capacità dei due candidati di allargare la base elettorale.
Elly Schlein, ex eurodeputata, ha creato la lista “Coraggiosa” che punta ad appoggiare da sinistra Stefano Bonaccini: «La retorica dell’eccellenza non parla a chi in questa Regione è rimasto indietro. Guai a dare per scontato che le persone andranno a votare solo per paura degli altri. Non basta dire che è scesa la disoccupazione, perché il lavoro è diventato più precario». E, conclude Schlein, «se il Pd non lo capisce vivrà lo choc di quando si pensava che Trump in Usa non avrebbe mai battuto i democratici». E lo choc per la sinistra, se dovesse perdere davvero la regione Emilia-Romagna, potrebbe avere quello stesso amaro sapore.