Cinquanta euro per ogni funerale chiesti a chi gestisce una ditta di onoranze funebri, centinaia di migliaia di euro estorti a chi aveva aperto un cantiere edile. In alcuni casi una percentuale fissa del proprio bilancio, il 5 per cento, da versare nelle casse della “Società”. Il tariffario della mafia foggiana è raccontato voce per voce nelle carte di Decima Azione, l’inchiesta del novembre 2018 che ha colpito i clan Moretti-Pellegrino-Lanza e Sinesi-Francavilla, padroni criminali di Foggia. Non ci sono solo Luca e Cristian Vigilante, i fratelli vittime di due attentati nelle prime settimane nel 2020, tra le persone che gli uomini delle batterie avevano deciso di avvicinare per imporre il pizzo.

La “cassa comune” e il “libro mastro” del pizzo
La città veniva battuta palmo a palmo, dalle officine ai resort, per le richieste estorsive tra minacce, schiaffi e pistole puntate alla fronte dagli uomini dei boss Rocco Moretti e Roberto Sinesi. Nelle 285 pagine firmate dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Francesco Agnino, è ricostruita la tattica delle famiglie mafiose del capoluogo dauno che, come ricorda l’ultima relazione della Dia, avevano stabilito un “rapporto federativo” per la gestione di una “cassa comune” ed il controllo condiviso delle estorsioni. C’era un vero e proprio “libro mastro”, ritrovato dagli investigatori coordinati dalla Dda di Bari guidata dal procuratore Giuseppe Volpe, con l’elenco di chi pagava. Ma soprattutto ci sono le intercettazioni telefoniche a spiegare il modus operandi di chi oggi è imputato in un processo con rito abbreviato nel quale sono state chieste 25 condanne per un totale di 300 anni di carcere, ma durante il quale nessuna delle vittime si è costituita parte civile, come aveva raccontato Ilfattoquotidiano.it.

Il kalashnikov in faccia all’imprenditore
Chi più chi meno, pagavano tutti. Gli uomini dei clan “spremevano” ogni attività commerciale. All’imprenditore interessato all’acquisto di terreni del Comune di Foggia in località Borgo Incoronata che facevano gola ai clan lo avevano detto chiaro: “Ritirati o dacci 200mila euro”. Lo hanno inseguito e terrorizzato per due anni. Nel 2015 la prima minaccia, a maggio dell’anno successivo si mossero in quattro per ricordare cosa volevano e un mese più tardi ci avevano messo il carico. La Porsche dell’imprenditore venne costretta ad accostare: “Tu all’Incoronata non ci devi andare… altrimenti ti incendiamo il vivaio, il piazzale e ti spariamo”, dissero puntandogli la pistola alla tempia. Nella primavera di tre anni fa, l’uomo stava camminando nell’area pedonale di Foggia, quando venne affiancato da due persone. Un abbraccio e la solita minaccia: “O paghi o ti ammocchiamo (ti uccidiamo, ndr)”. A luglio, di nuovo: l’imprenditore è a bordo della sua auto blindata, viene bloccato e si ritrova di fronte due persone col volto travisato e in pugno pistole e kalashnikov. La richiesta è sempre la stessa: “L’auto blindata non ti basta, paga o ti ammazziamo”. Nei mesi successivi le minacce erano state rivolte anche a parenti e dipendenti: “Fatti la valigia e vattene a casa, non abbiamo paura di uccidere le guardie e tuo zio insieme a loro. Vi incendiamo tutte le aziende che avete”.

I 4mila euro per le festività e i 50 a funerale
Ma le richieste per foraggiare la cassa comune erano anche spicciole. Nell’ottobre 2017 avevano spillato 1.500 euro al proprietario di un agriturismo-resort: quando la Squadra mobile lo ha convocato, lui ha negato con forza e poi è corso ad avvisare gli uomini del clan per allertarli. Alla proprietaria di un negozio di alimentari e carni avevano estorto 4mila euro nel periodo natalizio e l’avevano avvisata che altrettanti ne avrebbe dovuti versare a Pasqua: finita di fronte ai carabinieri, nonostante l’eloquenza delle intercettazioni, ha negato tutto. Cinquecento euro al mese era la somma ottenuta invece da una barista nel quartiere Borgo Croci, alla quale avevano fatto capire che se non avesse pagato avrebbe subito diverse rapine. “Io non pago nessuno e sono onesta”, ha risposto la donna alla polizia giudiziaria negando l’estorsione. La stessa cifra era costretta a versare la proprietaria di una nota discoteca della città, ma ogni settimana. Al titolare di un’impresa di onoranze funebri avevano imposto un pizzo di 50 euro su ogni funerale svolto e, di fronte al ”no” della vittima, gli avevano mostrato la pistola che portavano addosso. Alla ditta di autodemolizione era toccato un versamento di 450 euro ogni fine mese.

“Ti facciamo saltare la testa per aria”
“Mo’ ti sei comprato il guaio, mo’ devi chiudere”, era stata la minaccia di Francesco Tizzano, considerato l’esattore dei clan, al titolare di un distributore di carburante con bar e rivendita pneumatici al quale aveva chiesto, insieme ad altre quattro persone, la somma di 1000 euro al mese. La risposta della vittima agli inquirenti? “Non li conosco e no ricordo nessun incontro. Forse uno è venuto per chiedere il preventivo di un cambio gomme”. Al proprietario di un’officina era tutto sommato andata “meglio”: gli avevano imposto di effettuare gratuitamente la riparazione delle moto che venivano usate dalle persone legate al clan. Nell’agosto 2017 era toccato a una ditta di imballaggi piegarsi al volere della Società foggiana: Tizzano aveva chiesto al proprietario di visionare i bilanci della società e di corrispondergli una somma di denaro pari al 5% del fatturato, “come avevano fatto gli altri”. E dopo erano iniziate le minacce anonime, ha riferito l’uomo agli inquirenti. “Pezzo di merda, mettiti a posto altrimenti ti faccia saltare la testa per aria”, gli ha detto un uomo al telefono nell’agosto di tre anni. Qualche settimana più tardi una lettera dello tenore, accompagnata da due proiettili calibro 7.65.

I costruttori edili stritolati e schiaffeggiati
Al socio di un’impresa edile era riusciti a spillare 3.800 euro al mese, mentre altri 25mila ne avevano chiesti – e ottenuti in più tranche – ai legali rappresentanti di una ditta che stava costruendo un edificio lungo corso Mezzogiorno. E se qualcuno osava dire no? C’è la ricostruzione degli inquirenti di una richiesta di tangente dell’estate 2017 a spiegarlo chiaramente. Tizzano, sempre lui, si presenta per conto dei clan in un cantiere di via Domenico Cirillo, quattro minuti a piedi dal Comando provinciale di carabinieri. Si mette di fronte all’ingegnere e responsabile tecnico della ditta al lavoro, al quale erano già stati chiesti 300mila euro nei mesi precedenti, e lo avvisa che avrebbe dovuto chiedere il “permesso” per lavorare in città: “Come è tu vieni da fuori e non bussi?”. E, di fronte a una prima risposta negativa della vittima, ha poi raccontato sotto intercettazione: “Gli ho tirato un cannalone”. Uno schiaffo, poi nuova minaccia: “Tieni due ore di tempo per smontare tutte cose… prepara 50mila euro e 4mila euro al mese senno’ ti devo uccidere”. I pubblici ministeri dell’Antimafia barese Lidia Giorgio e Federico Perrone Capano hanno chiesto per lui 18 anni di carcere: la pena più alta tra quelle formulate nel processo sulle estorsioni a tappeto. In città, è il sospetto viste le bombe di questo inizio di 2020, qualcuno deve aver preso il suo posto di esattore.

Twitter: @andtundo

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