La recente negazione di archiviazione dell’indagine sulle presunte pressioni subite dai vertici di Ama, la municipalizzata dei rifiuti della capitale, per non iscrivere più a bilancio 18 milioni di euro per i servizi cimiteriali, è un segnale positivo per il “far-west della monnezza” a Roma.
Nei prossimi mesi, la magistratura svolgerà ulteriori indagini per verificare se sarà necessario un processo per alcune figure chiave del Campidoglio oppure se archiviare il tutto. Almeno si chiarirà per quale motivo per diversi anni quei fondi sono stati regolarmente inseriti nel bilancio della municipalizzata per poi, all’improvviso, non esserlo più. Cambio di prospettiva che ha portato, nel febbraio scorso, alle dimissioni dell’allora assessora Pinuccia Montanari e, successivamente, al licenziamento dei vertici di Ama.
Il Piano per la gestione dei materiali post-consumo 2017-2021, approvato con la delibera 47 del 30 marzo 2017, è stato via via messo in disparte. Di recente è stato invece annunciato un nuovo piano 2019-2024, che vedrebbe ritornare in auge il vecchio sistema di gestione dei rifiuti, ossia discariche e inceneritori quali strumenti principali per liberare le strade dai cumuli di rifiuti. Si mente sapendo di mentire oppure si tratta di incompetenza allo stato puro.
Il Piano 2017-2021 e il relativo piano industriale di Ama prevedevano la riduzione dei rifiuti di circa 200mila tonnellate all’anno, l’aumento della raccolta differenziata fino al 70%, con conseguente adozione di una tariffa puntuale (più differenzi, meno paghi), e la costruzione di 13 nuovi impianti per l’economia circolare in grado di trattare quasi 900mila tonnellate annue di rifiuti e materiali riciclabili, contribuendo a rendere Roma autonoma per la gestione dei propri rifiuti.
Durante la messa a regime del Piano, i rifiuti avrebbero continuato a viaggiare, progressivamente sempre meno, verso siti ove poter essere dislocati e, con l’impegno di tutti, si sarebbe potuto arrivare presto al momento in cui la mole di rifiuti indifferenziati si sarebbe talmente ridotta che non sarebbero state giustificate proposte di apertura di nuove discariche o, peggio, di nuovi inceneritori. Era stata avviata un’azione politica intelligente, che andava oltre la ben nota gerarchia di gestione dei rifiuti: prevenzione, riutilizzo, riciclaggio, recupero di altro tipo (ad esempio recupero di energia) e, solo alla fine, lo smaltimento in discarica.
I dati pubblicati da Ama sulla raccolta differenziata nel primo quadrimestre 2019 (45,4%), sostanzialmente in linea con quelli pubblicati nel rapporto annuale sui rifiuti urbani di Ispra, erano confortanti, come anche le punte di oltre il 90% registrate in alcuni quartieri ove era stato avviato il servizio “porta a porta”: ma, soprattutto, erano in linea con la tabella di marcia di Ama. Perché, quindi, questo Piano è stato abbandonato?
Si rincorrono notizie di decisioni adottate per tamponare le emergenze, che non solo non risolvono le emergenze, ma sono anche contrarie alla linea politica che aveva portato il M5S a vincere le elezioni nel 2016. Con quale faccia i consiglieri di maggioranza siedono ancora nei banchi del Consiglio capitolino? Ci vuole chiarezza per fugare ogni dubbio su quello che sta accadendo a Roma: il modello politico innovativo approvato nel 2017, e ora rinnegato, non ha nulla a che vedere con l’immondizia che impera nelle strade.
È evidente che si sta cercando un pretesto per far saltare una visione lungimirante che dà fastidio a chi, nella capitale, con i rifiuti ha sempre fatto affari e non intende mollare l’osso. Si è partiti con lo screditare il lavoro di Ama (che comunque necessiterebbe di un robusto restyling dirigenziale) per chiamare in causa qualcun altro. Ad esempio, l’altra municipalizzata, Acea, al 51% di Roma Capitale, che ha già dichiarato la sua disponibilità a entrare in gioco con i suoi impianti di incenerimento/termovalorizzazione.
È ovvio che un passaggio del genere risulta incompatibile con il Piano 2017-2021, a meno che non si chiarisca che il ricorso a questo livello della catena gerarchica dei rifiuti verrà attuato solo a fronte della piena attuazione dei precedenti livelli. In tal caso, e solo in tal caso, sarebbe possibile accettare il ricorso alla combustione dei rifiuti o alla discarica di servizio che, per le quantità residuali (più è spinta la differenziata, meno quantità di rifiuto indifferenziato dovrà essere smaltito), molto probabilmente non necessiterebbe della costruzione di nuovi impianti di questo tipo.
Questo per coloro che non vogliono dare pieno credito al piano industriale di Ama del precedente presidente Lorenzo Bagnacani, che addirittura per questa parte residuale prevedeva il ricorso alla vetrificazione degli scarti al fine di evitare totalmente la combustione o il conferimento in discarica dei rifiuti, così come imponeva (allora) la politica dei cinquestelle.
Ciò, evidentemente, non risulterebbe appetibile per coloro che vorrebbero investirci sopra: il 49% di proprietà privata di Acea, legittimamente, richiede che l’azienda faccia profitti e adotti le scelte imprenditoriali migliori. È il socio di maggioranza che deve far valere gli aspetti inerenti il “servizio pubblico” e i molteplici vantaggi per la città nell’adottare modelli di sviluppo sostenibili.
Sono altri gli impianti di cui Roma ha bisogno e, come già ricordato, ce n’erano 13 in programma, dalle fabbriche di materiali, che avrebbero sostituito i Tmb, agli impianti di compostaggio. Ai quali si dovrebbero aggiungere gli impianti di produzione di biogas, da sempre osteggiati dai cinquestelle romani per pura ideologia o semplice ignoranza.