Respinta la richiesta dell'Avvocatura di Stato che lamentava un "vulnus al diritto di difesa", visto che il ministero è anche parte civile nel procedimento contro 8 carabinieri, compreso il generale Alessandro Casarsa. No anche alla richiesta dei militari imputati Massimiliano Colombo Labriola e Francesco Di Sano di costituirsi parti civili nei confronti dei loro superiori: secondo i legali i due carabinieri avevano eseguito un ordine
Il ministero della Difesa sarà responsabile civile nel processo sui depistaggi seguiti alla morte di Stefano Cucchi. Così ha deciso il giudice Giulia Cavallone respingendo la richiesta di esclusione presentata dall’Avvocatura di Stato che lamentava un “vulnus al diritto di difesa”, visto che il ministero è anche parte civile nel procedimento. La giudice ha però dato ragione al legale di uno dei tre agenti della Polizia Penitenziaria, assolti in via definitiva perché ingiustamente accusati del pestaggio, che aveva presentato l’istanza.
Contestualmente il giudice non ha accolto la richiesta dei carabinieri imputati Massimiliano Colombo Labriola e Francesco Di Sano di costituirsi parti civili nei confronti dei loro superiori Luciano Soligo e Francesco Cavallo: secondo i legali i due carabinieri avevano eseguito un ordine, ma il giudice ha respinto l’istanza. Colombo Labriola, all’epoca dei fatti, era comandante della stazione di Tor Sapienza, mentre Di Sano era in servizio nella stessa stazione. Cavallo era tenente colonnello e capo ufficio del comando del Gruppo Roma e Soligo, invece, un maggiore al comando della compagnia Roma Montesacro.
Oltre a loro quattro nel processo sono imputati – accusati a vario titolo e a seconda delle posizioni di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia – anche il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma, Tiziano Testarmata, comandante della quarta sezione del nucleo investigativo dei carabinieri, e Luca De Cianni.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, Cavallo “rapportandosi direttamente sia con Casarsa che con Soligo chiedeva a quest’ultimo che il contenuto di quella prima annotazione fosse modificato”. Soligo, invece, “veicolando una disposizione proveniente dal Gruppo Roma ordinava a Di Sano, anche per il tramite di Colombo Labriola, di redigere una seconda annotazione di servizio, con data falsa del 26 ottobre 2009″ nella quale si attestava falsamente che “Cucchi riferiva di essere dolorante alle ossa sia per la temperatura fredda/umida che per la rigidità della tavola del letto ove comunque aveva dormito per poco tempo, dolenzia accusata per la sua accentuata magrezza omettendo ogni riferimento alle difficoltà di deambulare” del geometra romano arrestato il 15 ottobre del 2009 e deceduto sette giorni dopo all’ospedale Sandro Pertini di Roma.
Per la morte del geometra romano, in primo grado, nel filone principale del processo sono stati condannati i due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati di aver pestato il geometra con pugni e calci, a 12 anni per omicidio preterintenzionale. I giudici hanno assolto da questa accusa l’imputato diventato teste dell’accusa Francesco Tedesco, al quale sono stati inflitti 2 anni e sei mesi per falso. Il maresciallo Roberto Mandolini, il comandante della Stazione Appia dove fu portato Stefano, è stato condannato a 3 anni e 8 mesi per la falsificazione del verbale di arresto. Assolto Vincenzo Nicolardi che rispondeva di calunnia, poi riqualificata in falsa testimonianza.