L’Europa intera si sta mobilitando in difesa delle pensioni e dello Stato sociale. A partire dal suo attuale cuore politico, la Francia – dove il sindacato Cgt, insieme ai gilet gialli, sta portando avanti da varie settimane uno sciopero senza precedenti – per investire anche altre realtà importanti, come la Spagna, dove le forze della sinistra hanno raggiunto un importante accordo di governo, alla Gran Bretagna traumatizzata dalla vittoria di Johnson e della Brexit dove ripartono con forza le rivendicazioni indipendentiste di Scozia, Galles ed Irlanda del Nord. E in Italia?
Quella per le pensioni e lo Stato sociale è una questione fondamentale perché investe a fondo il modello di Europa da costruire. Vogliamo un’organizzazione burocratica a rimorchio delle lobby e del capitale finanziario oppure un insieme di istituzioni solide e votate a realizzare i diritti dei cittadini, raccogliendo e rilanciando le migliori tradizioni di lotta e normative del nostro continente, oggi in preda a una forte crisi di identità e di prospettive?
La resa della classe dirigente europea al neoliberismo ha comportato la liquidazione di notevole parte di questo patrimonio, andando a indebolire fortemente le garanzie della sicurezza sociale, la sicurezza fondamentale da cui dipende ogni altro tipo di sicurezza. Lo sciopero francese acquisisce in questo quadro un’importanza strategica, mettendo in crisi definitiva le aspirazioni di Emmanuel Macron che si atteggia a leader continentale ma non riesce neanche a ottenere il consenso del suo popolo. Ciò soprattutto a causa della sua sfrenata vocazione al neoliberismo, che lo ha portato fra l’altro di recente a negare persino le limitazioni alla vendita di alcolici; che sarebbe dovuto anche, come insinuano talune malelingue, alla sua forte propensione al consumo di quel genere.
In Italia poi, le scellerate politiche seguite negli ultimi anni da praticamente tutti i governi che si sono succeduti, da Berlusconi, a Monti con l’esiziale Fornero, a Letta, a Renzi al Salvimaio, hanno ridotto a lumicino le garanzie esistenti. Sono molti i pensionati che vivono oggi in condizioni di forte povertà. I giovani, condannati al precariato a vita, disperano di poter accumulare contributi suscettibili di garantire loro un domani delle pensioni dignitose. I migranti, che formano parte crescente della forza-lavoro in vari settori, sono spesso costretti a una condizione di semiclandestinità e lavoro nero che impedisce loro di dare in modo adeguato il contributo alla previdenza generale. Tutto ciò nel Paese che continua ad essere la maglia nera dell’evasione fiscale e contributiva e del lavoro nero a livello europeo.
La questione, come altre, è oggetto della feroce demagogia delle destre, con Matteo Salvini in prima fila, che si fanno forti di una lunga serie di errori madornali e della permanente subalternità alle ragioni del capitale da parte del cosiddetto centrosinistra. La vulgata corrente è che “non ci sono i soldi”, ma non è vero: la ricchezza c’è e cresce, il problema è la sua redistribuzione sempre peggiore, come pure il suo occultamento e dispersione nella speculazione finanziaria, che costituisce un altro cancro della società capitalista nella sua fase attuale.
Assume pertanto una certa importanza la lettera che due italiani, militanti della Cgt, hanno inviato chiedendo solidarietà e impegno comune anche dalla nostra parte delle Alpi. Una richiesta sacrosanta, perché solo l’estensione della lotta su tutto il territorio europeo potrà garantire un pieno e totale accoglimento delle rivendicazioni.
Se è vero infatti che la competenza in materia spetta tuttora agli Stati membri, non è men vero che l’Unione europea esercita un controllo sempre più penetrante sui conti, preparandosi a sanzionare gli Stati che deviino dalla giusta (secondo loro) via. Solo l’adozione di un’ottica solidaria e di classe a livello continentale permetterà all’Europa di recuperare il suo ruolo storico di modello di società, aumentando il suo prestigio e il suo consenso a livello internazionale e tornando a svolgere un ruolo fondamentale sulla relativa scena, a fronte delle minacce di guerra alimentate dalle politiche revansciste di Trump.
Di particolare importanza appare la partecipazione degli avvocati allo sciopero e alle proteste. Si tratta infatti di un meccanismo chiave per il buon funzionamento dello Stato di diritto, che per quanto scritto deve anche e soprattutto essere uno Stato sociale. Come affermato dall’esponente del sindacato degli avvocati francesi, Aurélie Lebel, la “schiforma” di Macron è destinata a colpire soprattutto gli avvocati delle fasce inferiori, che difendono una clientela tendenzialmente povera e proletaria, mentre non avrà grossi effetti su quelli che difendono le persone facoltose. Quindi, la “schiforma” finirà, anche in questo settore, per beneficiare i ricchi a scapito dei poveri, aggravando le disuguaglianze e rendendo chimerica la possibilità di difesa legale.
Un motivo in più per opporvisi e rilanciare su scala europea la mobilitazione contro le diseguaglianze crescenti e per un’Europa che sarà solidale ed egualitaria. O non sarà.