A distanza di un anno e mezzo mi sembra corretto fornire un’informazione supplementare sul faraonico progetto ossolano dall’inquietante titolo “Avvicinare le montagne”. Nome che presuppone una esasperata visione antropocentrica: le montagne innanzitutto non si spostano e poi non consideriamole un ostacolo, ma anzi una culla di civiltà spesso aggregante. Progetto che, come tutti quelli faraonici (attualmente è il più grosso e impattante intervento previsto sulle Alpi), vede convergere simpatie di partiti politici di supposta sinistra e di supposta destra.
Progetto per il quale siamo quasi alle battute finali. Nel maggio 2018 infatti la Provincia del Verbano Cusio Ossola ha avviato l’iter procedurale di Vas (Valutazione ambientale strategica), nell’ambito della quale sono stati raccolti i pareri dei soggetti competenti in materia ambientale, pareri tutti molto critici.
Giovedì 9 gennaio, nell’ambito delle consultazioni, il Comitato Tutela Devero (che ha raccolto medio tempore più di 91mila firme di opposizione al progetto, e non sono poche…) è stato audito in Regione, dove non solo ha esposto tutti gli aspetti negativi relativamente all’impatto ambientale e territoriale che il progetto avrebbe (e che ho già esposto in precedenti post), ma ha altresì evidenziato le perplessità che desta la situazione economica del soggetto proponente.
Vediamola. Innanzitutto, a differenza della maggior parte delle stazioni sciistiche, che sono Spa, la San Domenico Ski (soggetto “attuatore” del progetto) è una Srl e i bilanci non sono revisionati. Essa è detenuta al 100% dalla società anonima svizzera Mibafin Investments SA e pertanto i reali imprenditori della San Domenico Ski sono sconosciuti.
Ma, oltre a ciò, ciò che colpisce è che negli ultimi anni la società è sempre risultata in perdita. E l’ultimo bilancio disponibile (30 settembre 2018) registra ricavi in calo del 16% e perdite in aumento del 47%. Questo a fronte di un investimento totale per i nuovi impianti e strutture che dovrebbe essere di ben 130 milioni di euro da parte del privato, oltre che di 43 della mano pubblica. Mano pubblica che ha le pezze al sedere, ma è sempre disponibile a gettare il cuore oltre l’ostacolo quando si tratta di grandi interventi sul territorio.
Si può senz’altro affermare che l’audizione abbia raggiunto il risultato sperato e cioè far aprire gli occhi ai soggetti interessati all’operazione, anche sulle perplessità che desta la stessa in virtù dei dati anche semplicemente economici. In un’area, oltretutto (e il Comitato lo ha sempre sostenuto e dimostrato), che vive sul turismo dolce. Ed è qui il caso di ricordare come l’Osservatorio italiano del turismo montano rilevi come lo sci di discesa registri mediamente un +1% medio annuo, mentre ciaspole, sci-alpinismo e trekking invernale registrano un +10% medio annuo.
In più giova rilevare, come ha fatto di recente la giornalista ambientale Elisabetta Ambrosi, come lo sci da discesa sia – al di là del pesante impatto amplificato dalla produzione di neve finta – uno sport sempre più riservato a una élite, e non già alla massa, come invece è per il turismo dolce.
Infine – ma sarebbe il caso di dire last but not least – le nostre Alpi sono già piene oggi, gennaio 2020, di cimiteri dello sci: impianti e beni immobili di vario tipo abbandonati. Fummo Francesco Pastorelli e il sottoscritto a farne un primo censimento molti anni addietro. A dicembre se ne sono occupati due autorevoli testate, come The Guardian e il Corriere della Sera, il quale ultimo afferma: “A causa del caldo in mezzo secolo la stagione si è ridotta di 38 giorni. L’80% delle piste dipende dalla neve artificiale, che ha costi esorbitanti. Così che aumentano i fallimenti”.
Invito con il presente post il nuovo presidente delle aree protette dell’Ossola, la dottoressa Vittoria Riboni, che si dice da sempre sostenitrice del progetto, a leggere gli articoli. Oltre che il documento prodotto dal Comitato.