Facebook avvia la strategia 2020 dall’Europa e – dall’Italia per la prima volta – lo fa con il suo vice presidente degli Affari Globali (sostanzialmente il suo maggiore lobbista), Nick Clegg. Oggi dipendente di Menlo Park ma già ex vice primo ministro britannico, è intervenuto alla università Luiss di Roma per un keynote speech dal titolo “The Fight for the Soul of the Internet”. Dall’Italia, l’emissario di Zuckerberg ha lanciato diversi messaggi a Bruxelles e alla stessa Commissione che a dicembre (via Antitrust) ha avviato una inchiesta preliminare sulla raccolta e la commercializzazione dei dati: “Abbiamo sbagliato e dobbiamo cambiare – è la sintesi dell’intervento – ma le regole europee così come sono non vanno bene”. A partire dalla privacy.
L’intervento – Il 51enne è anche anche un ex negoziatore commerciale della Commissione Ue ed è stato corteggiato a lungo da Zuckerberg. Il suo intervento si è diviso tra la comprensione dei timori verso le grandi aziende tecnologiche (soprattutto dopo gli scandali sulle elezioni Usa e Cambridge Analytica) e la necessità di non demonizzare i big data. In mezzo, c’è l’Ue rea di non riuscire a completare quel “mercato unico digitale” che permetterebbe alle aziende tech di fare tutte quelle cose che dichiarano di voler fare, dal pagare più tasse al rispetto delle regole sulla privacy. Antagonista è, intanto, lo spazio che sta conquistando la Cina con la sua assenza di democrazia digitale. “Questa nuova fase richiede nuove regole da scrivere – ha detto Clegg – e la domanda fondamentale: cosa vogliamo che sia Internet?”
Il modello Silicon Valley – Clegg inizia ammettendo che il modello della Silicon Valley si sta esaurendo e che “ha goduto del suo stadio di euforia – i vibranti anni di crescita esponenziale, alimentata dall’idealismo e dalla ferma convinzione di essere una forza per il bene”, ma che ora “ il pendolo è oscillato verso un maggiore sospetto nei confronti della tecnologia. La società è diventata sempre più preoccupata per il modo in cui i dati vengono conservati, come vengono utilizzati e monetizzati, e ciò ha messo le aziende tecnologiche nella linea di fuoco pubblica”. Ansie comprensibili, secondo Clegg. Le aziende della Silicon Valley devono “ricordare che avranno successo come imprese solo se godranno del consenso più ampio della società”.
La bordata all’Ue – Critica quindi le posizioni estreme della politica: “Le misure brusche o reazionarie possono alleviare questo senso di ansia a breve termine, ma una regolamentazione sbagliata o mal riposta potrebbe trattenere l’Europa inutilmente per anni”. Spiega che dopo Cambridge Analytica l’approccio è cambiato, c’è la volontà di imparare dagli errori ma poi aggiunge: “Non possiamo farlo da soli, né, data la natura dei problemi che affrontiamo, crediamo che dovremmo. Negli Stati Uniti, l’argomento politico riguarda se le grandi aziende tecnologiche debbano essere sciolte. Qui, nell’Ue, si tratta in gran parte di come le società tecnologiche dovrebbero essere meglio regolamentate”.
Il problema dei dati – Nel cercare nuove regole sulla privacy, Facebook chiede di cambiare quanto previsto nel regolamento europeo della privacy (Gdpr) sulla portabilità dei dati, ovvero sul diritto di ogni utente di spostarli da un servizio a un altro. È un tema delicato per tutte le aziende tech, soprattutto se si tiene conto che il “Data Transfer Project” lanciato mesi fa mette insieme Facebook, Google, Apple e Twitter per risolvere gli ostacoli tecnici che impediscono di scambiarsi facilmente i dati. Tanto che, qualche giorno fa, Facebook ha annunciato la possibilità di spostare facilmente le proprie foto dal social network al cloud di Google.
La risposta – A margine, nell’incontro con i giornalisti, il Fatto ha chiesto a Clegg di spiegare perché vogliano modificare il regolamento. “La portabilità dei dati è fondamentale per la concorrenza e su questo siamo tutti d’accordo – spiega – ma se si vuole lasciare Facebook e portare i dati su Tik Tok o Snapchat come si fa ad esempio nella telefonia, diventa tutto molto complesso per la natura stessa dei nostri dati”. In sostanza, la profilazione che Facebook fa dei suoi utenti è basata anche sulla rete di amici e sui gruppi di cui si fa parte. “È il segnale principale che usa l’algoritmo per scegliere cosa farti vedere – spiega Clegg -. Non sono dati unilaterali, ma sono complessi e fondati sul tuo network, sulla rete con cui interagisci. È il cosiddetto “data footprint”, “l’impronta dei dati” dei social network”. Secondo il lobbista, informazioni come nome ed età non interessano a nessuno, il valore sta in questo tipo di informazioni. “E quando decidi di spostarlo, significa che stai chiedendo di spostare anche i dati di altre persone. È un problema legale per Facebook, non tecnico. E deve essere risolto”. Anche perché è il modello di business della piattaforma, quello su cui si vendono le pubblicità, e che permette a Facebook di essere gratuito “altrimenti diventeremmo come Apple, che fa pagare per tutti i suoi servizi. Ma questo significherebbe escludere da una connessione ormai universale tutti coloro che non possono pagare”.
Web tax – Sulla web tax, Clegg prende invece come riferimento il dialogo in corso tra il presidente Usa e quello francese, visto come una vittoria americana: “La Francia ha deciso di discutere l’introduzione della web tax e questo è un bene perché solo l’approccio multinazionale può risolvere la situazione – spiega Clegg – . Se chiedete agli Usa se gli piacciono delle tasse che siano costruite appositamente per colpire le aziende americane, è chiaro che dirà no”.
Sulle pubblicità politiche – Risponde anche alle domande sul perché Facebook non vieti le pubblicità politiche “fake”. “Nessuno controlla le pubblicità politiche – è la risposta – Sarebbe impossibile controllarle tutte e sottoporle al fact checking. Le dichiarazioni politiche sono sempre esagerate. Perché Facebook dovrebbe essere Dio e valutare l’accuratezza di ciò che dice un politico? Non è il nostro ruolo. È il ruolo del dibattito e del giornalismo. Noi possiamo essere trasparenti per quanto riguarda i pagamenti, non sul resto. Che magari le blocchi su Facebook ma poi le trovi in televisione”. Sull’oscuramento della pagina di Casapound, poi riammessa da una sentenza del Tribunale di Roma a dicembre, Facebook tiene invece ferme le sue posizioni: “Abbiamo preso una decisione estrema, per il loro comportamento sia dentro sia fuori la piattaforma e penso sia stata legittima”. Ma, aggiunge, “ci atterremo a quello che decidono le autorità”.
Libra – Sul progetto della criptomoneta e del sistema diffuso di pagamento lanciato in pompa magna nei mesi scorsi, c’è una lieve titubanza. “Questa idea, – dice Clegg – non può funzionare senza una regolamentazione precisa, soprattutto statunitense. Facebook non ha fondato Libra ma è un player molto importante dell’associazione di 21 membri. E se qualcuno degli altri membri prova a implementare Libra senza una regolamentazione adeguata, non ne faremo più parte”.
La preoccupazione – Infine, l’ex vicepremier britannico parla della sua maggior paura. ”Quello che mi preoccupa di più per il futuro? Il fenomeno deepfake (i video che mediante l’intelligenza artificiale possono far fare e dire cose alle persone che non hanno mai detto o fatto, ndr). Non è molto percepito come un problema – conclude – ma ha il potenziale per far cose inimmaginabili e non sappiamo come si evolverà. Per questo Facebook li ha messi al bando”.