Nell'atto di citazione contro l'ex ministro dell'Interno, con il quale si chiede al Senato l'autorizzazione per il rinvio a giudizio con l'accusa di "sequestro di persona", i giudici sostengono che i provvedimenti presi dall'ex capo del Viminale costituiscono più violazioni delle leggi internazionali e presentano l'aggravante di essere stati presi anche nei confronti di minori non accompagnati
Non c’era alcun interesse pubblico o rischio per l’ordine pubblico che potessero giustificare la decisione dell’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, di impedire lo sbarco dei 131 migranti che dal 25 al 31 luglio 2019 sono rimasti a bordo della nave della Guardia Costiera “Gregoretti”. Situazione aggravata ulteriormente, tra le altre cose, dalla presenza di minori non accompagnati a bordo e dal fatto che si trattava di un’imbarcazione militare e, quindi, non soggetta alle nuove direttive previste dei decreti Sicurezza. Sono questi i punti salienti contenuti nell’atto di citazione contro Matteo Salvini che il Tribunale dei Ministri di Catania ha inviato al Senato per richiedere l’autorizzazione a procedere con l’accusa di “sequestro di persona, aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale, dall’abuso dei poteri inerenti le funzioni esercitate, nonché per avere commesso il fatto anche in danno di soggetti minori d’età”.
Nel documento, i giudici puntualizzano anche un altro aspetto fondamentale che è stato oggetto di discussione e scambi d’accuse tra il capo della Lega e i suoi ex colleghi di governo, in particolar modo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Nelle carte si legge, infatti, che, su richiesta del Tribunale, la presidenza del Consiglio riferisce che “nell’unica riunione del Consiglio dei Ministri, tenutasi in data 31/7/2019, ‘la questione relativa alla vicenda della nave Gregoretti non figura all’ordine del giorno e non è stata oggetto di trattazione nell’ambito delle questioni varie ed eventuali”. Un dossier, quindi, gestito e trattato direttamente dal Ministero dell’Interno, con il titolare del dicastero pienamente informato dei fatti.
In un passaggio del testo redatto dal Tribunale si specifica, inoltre, che la decisione del ministro di impedire lo sbarco dei 131 a bordo della Gregoretti non trova applicazione nemmeno nel testo del cosiddetto decreto Sicurezza bis in cui si legge che il capo del Viminale “può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine o sicurezza pubblica”.
Innanzitutto, scrivono i giudici, trattandosi di una nave della Guardia Costiera italiana si è in presenza di un’imbarcazione militare, quindi esclusa dai provvedimenti inquadrati dal decreto Sicurezza bis. Inoltre, vengono anche contestati i “motivi di ordine o sicurezza pubblica”: “Va osservato come lo sbarco di 131 cittadini stranieri non regolari non potesse costituire un problema cogente di ordine pubblico per diverse ragioni – spiegano – ed in particolare: in concomitanza con il caso Gregoretti si era assistito ad altri numerosi sbarchi dove i migranti soccorsi non avevano ricevuto lo stesso trattamento; nessuno dei soggetti ascoltati dal Procuratore della Repubblica di Catania, da quello di Siracusa e da questo Tribunale ha riferito informazioni sulla possibile presenza, tra i soggetti soccorsi, di ‘persone pericolose’ per la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale”. Una decisione, conclude il Tribunale, che quindi è stata adottata “per la volontà meramente politica di affrontare il problema della gestione dei flussi migratori invocando la ripartizione dei migranti a livello europeo”.
Alcuni aspetti della vicenda, precisano i giudici, evidenziano delle affinità con il caso della nave Diciotti, anche quella mezzo militare per la cui vicenda era stata richiesta l’autorizzazione a procedere, poi negata dal Senato, ma con alcune differenze che risultano aggravanti nel caso della Gregoretti: innanzitutto, la nave Diciotti è attrezzata per le operazioni di soccorso in mare, a differenza della Gregoretti, “destinata all’attività di vigilanza sulla pesca” e non ad eventi di questo tipo, tanto che “non è in grado di fornire un’adeguata sistemazione logistica ad un così elevato numero di persone”. Situazione che complica ulteriormente le condizioni di permanenza a bordo dei migranti, “esposti agli agenti atmosferici con le problematiche che ben sono immaginabili. La ridotta composizione dell’equipaggio, solo 30 uomini, non consente la corretta gestione di un così elevato numero di persone“.
E le condizioni a bordo, di cui Salvini era stato informato, secondo quanto scritto dai giudici, erano state descritte dalla dottoressa Agata Stefania Reale del Corpo Italiano di Soccorso Ordine di Malta che si trovava a bordo di una delle navi che ha effettuato il trasbordo di una parte dei naufraghi sulla Diciotti. È lei ad aver dichiarato di “aver accertato numerosi casi di scabbia (circa 30) tra i migranti a bordo, destinati ad aumentare, per il rischio contagio, col passare dei giorni”, descrivendo le condizioni sanitarie a bordo “scadenti” e “in graduale peggioramento”. Situazione confermata dalla successiva ispezione a bordo, il 30 luglio.
Il documento passa poi ad analizzare le varie violazioni delle leggi e convenzioni internazionali in materia. Specificando che “l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”, si ricorda che “le convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato“. Tra queste si citano la Convenzione Onu sul diritto del mare del 1982, la Convenzione Solas, la Convenzione di Amburgo o “Sar” e la Convenzione Unclos che, tra le altre cose, specificano che il coordinamento delle operazioni di salvataggio spettano agli Stati anche nel caso in cui non avvengano nelle aree di loro competenza ma nel caso in cui “abbiano per primi ricevuto notizia di persone in pericolo in mare e ciò fino a quando il centro di coordinamento competente non abbia formalmente accettato tale responsabilità”. Il tutto per “minimizzare i tempi per il trasporto delle persone in un luogo sicuro”. Mettendo il proprio veto sulla determinazione del place of safety (porto sicuro), il ministro ha così “abusato delle funzioni amministrative attribuitegli”, si legge. Il tutto aggravato dalla presenza di persone malate, donne e minori a bordo.