Dopo settimane di proteste, il Libano ha un nuovo governo: è guidato da Hassan Diab, vicino agli Hezbollah filo-iraniani e incaricato di traghettare il Paese attraverso la più grave crisi economica e politica vissuta dopo la fine della guerra civile trent’anni fa. L’esecutivo è nato oggi dopo poco più di un mese di intense consultazioni e dopo giorni di violenti scontri a Beirut tra manifestanti anti-governativi e forze di sicurezza. “Il nuovo esecutivo lavorerà per soddisfare le richieste dei dimostranti“, ha assicurato il premier subito dopo l’annuncio, ma la piazza sembra già pronta a riesplodere contro un governo ritenuto ancora troppo legato al sistema.
Il 60enne premier, che insiste nel presentarsi come uno “specialista” e che aveva promesso di formare il governo entro gennaio, era stato incaricato lo scorso 19 dicembre. Un mese e mezzo prima si era dimesso il suo predecessore Saad Hariri, in seguito a forti pressioni popolari nel quadro delle proteste contro il carovita a la corruzione scoppiate in varie città del Paese a metà ottobre. Il nuovo esecutivo è “ristretto”, ovvero formato da 20 ministri – due terzi dei governi precedenti – con esponenti nominalmente nuovi, ovvero che non hanno assunto in passato incarichi ministeriali. Sei le donne tra cui, per la prima volta, la nuova ministra della Difesa Zeina Acar. Gli analisti osservano che dietro le nomine proposte da Diab ci sono gran parte dei movimenti politici al potere da decenni e messi sotto accusa dal movimento di protesta.
La scelta di Hariri di dimettersi e, soprattutto, quella di non voler guidare un nuovo governo, aveva di fatto rotto l’accordo politico-istituzionale raggiunto un anno fa tra il fronte filo-iraniano, incarnato dall’alleanza tra gli Hezbollah e il presidente della Repubblica cristiano Michel Aoun, e l’asse filo-occidentale, rappresentato dallo stesso Hariri e dai partiti cristiani delle Forze libanesi e delle Falangi e dal partito druso di Walid Jumblat. Proprio questi ultimi partiti, storicamente più vicini agli Stati Uniti, alla Francia e all’Arabia Saudita, non partecipano all’esecutivo, segnando una rottura negli equilibri “di consenso” in piedi da circa dieci anni in Libano.
Il nuovo premier, docente universitario ed ex ministro dell’istruzione, ricordato per aver innalzato le tasse universitarie del 300%, ha ora la missione pressoché impossibile di riguadagnare la fiducia della piazza in rivolta, operando al tempo stesso le tanto attese riforme economiche. Queste sono state indicate come “necessarie” per sbloccare gli aiuti finanziari promessi dalla comunità internazionale, in particolare dalla Francia, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.
I fondi stranieri dovrebbero far rifiatare l’economia e, soprattutto, il sistema bancario, in forte difficoltà da quando in estate è cominciata in tutta la regione una improvvisa crisi di liquidità del dollaro statunitense con la svalutazione della lira locale. Le banche hanno da metà novembre imposto il controllo dei capitali, e i piccoli e medi risparmiatori ne stanno subendo le conseguenze, in un quadro sempre più difficile di aumento della disoccupazione e impennata dei prezzi dei beni al consumo. È in questo contesto che negli ultimi giorni, per la prima volta si sono registrati a Beirut ripetuti e violenti scontri tra manifestanti e polizia col ferimento di centinai di dimostranti e decine di agenti.