Avviato il primo passo per il processo di messa in stato d'accusa al presidente - che durerà diversi giorni - anche se, con la maggioranza repubblicana di 53 contro 47 democratici, è improbabile che il Senato arrivi ai due terzi di voti favorevoli alla condanna
Dal palco del Forum economico di Davos esalta i successi degli Stati Uniti, anche se la portavoce della Casa Bianca Stephanie Grisham assicura che “sarà informato periodicamente dallo staff”. Sì perché dall’altra parte dell’oceano, al Senato, si apre il processo di impeachment che lo vede accusato di abuso di potere e ostruzione del Congresso. Donald Trump lo ripete anche oggi: il processo è una “bufala. Stiamo incontrando i leader mondiali – ha detto da Davos ai giornalisti -, le persone più importanti del mondo e stiamo facendo grandi affari. Quell’altra cosa è solo una bufala, la caccia alle streghe che dura da anni e francamente è vergognosa”. E nel nominare i deputati repubblicani che lavoreranno col suo team difensivo, il tycoon si è detto “fiducioso che essi contribuiranno a concludere speditamente questa sfacciata vendetta politica per conto del popolo americano”.
I tempi del dibattimento – Nell’austera aula del Senato si consuma il primo scontro frontale tra democratici e repubblicani sulle regole e sui tempi del dibattimento, in una atmosfera tesa anche per la folla di cronisti: i loro movimenti sono stati limitati nei corridoi e i metal detector accertano che non si portino telefonini o apparecchiature da lasciare in aula per registrare segretamente le sessioni a porte chiuse. Al centro della battaglia la controversa mozione presentata dal leader della maggioranza repubblicana al Senato Mitch McConnell che mira ad un processo rapido come auspicato da Trump e possibilmente senza nuovi elementi probatori. La speranza del presidente è di mettersi alle spalle il processo (con un’assoluzione ovviamente) entro il 4 febbraio, quando terrà il discorso sullo Stato dell’Unione al Congresso. E proprio McConnell, di fronte alla dura opposizione dei democratici, ha rivisto la proposta sui tempi che accusa e difesa avranno per presentare le loro argomentazioni in apertura del processo: non più due, ma tre giorni.
Successivamente ci dovrebbero essere 16 ore riservate ai senatori, che in qualità di giudici potranno fare solo domande per iscritto tramite il capo della Corte suprema John Roberts, che presiede il dibattimento. Per loro sono previste norme di decoro severe: niente cellulari, niente tweet, niente conversazioni con i colleghi. Solo dopo questa fase la mozione McConnell consente di discutere e votare eventuali mozioni per introdurre testimoni e documenti. Ma è richiesta una maggioranza di 51 voti e i dem ne hanno 47. Quindi hanno bisogno di almeno quattro senatori repubblicani, altrimenti il processo potrebbe finire già la prossima settimana. Tre sembrano disponibili, come Mitt Romney, il quarto potrebbe uscire da un gruppo di senatori che, non ricandidandosi, non temono le ire del tycoon. I dem puntano a sentire alcuni personaggi chiave come l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, ma il presidente e il suo partito sono decisi a tutto per bloccarlo. Se non ci riuscissero, chiederebbero una deposizione classificata e risponderebbero citando l’ex vicepresidente Joe Biden e il figlio Hunter. Sembra comunque altamente improbabile che ci siano 20 senatori dissidenti del Grand Old Party per arrivare ai 67 necessari per condannare e rimuovere Trump.
Cosa pensano gli americani – Secondo un sondaggio realizzato dalla Cnn e rilanciato da Politico, il 51% degli americani vuole che Donald Trump sia condannato e rimosso dalla presidenza. I risultati, comunque, descrivono un fronte di ‘innocentisti’ consistente: il 45% degli intervistati infatti sostiene che Trump non debba essere condannato e rimosso. Il rilevamento registra inoltre che il pubblico americano sta seguendo con attenzione l’impeachment, con il 74% che afferma che si tiene molto o abbastanza informato sui suoi sviluppi. Dal sondaggio però arriva un’indicazione netta riguardo all’orientamento del pubblico sulla questione controversa della convocazione dei testimoni, richiesta dai democratici e contrastata dai repubblicani. Il 69% degli intervistati vuole infatti ascoltare nuove testimonianze durante il procedimento, mentre solo il 29% si oppone all’idea.