Non si fermano le fiamme in Australia: il rogo dell’aeroporto di Canberra ha riportato l’attenzione sull’emergenza incendi. Sono ancora un centinaio i focolai attivi e, dopo i temporali e le grandinate che negli scorsi giorni hanno flagellato la regione, il ritorno delle alte temperature e del forte vento potrebbe provocare un nuovo peggioramento. Nelle scorse settimane l’emergenza è stata seguita, documentata e commentata in tutto il mondo ma, complice l’ondata emotiva e il tam tam dei social network, alcune informazioni sono state distorte, o diffuse in maniera imprecisa. Foto diventate virali che in realtà erano grafici in 3D, arresti “gonfiati” per avvalorare la tesi degli incendi dolosi, stime che vanno precisate. Elementi che però nulla tolgono alle proporzioni – enormi – del disastro, che ha causato fino ad ora la morte di 29 persone e ha ridotto in fumo più 6,3 milioni di ettari di terra. Un danno incalcolabile per gli habitat naturali e la biodiversità, specialmente nelle riserve protette, come a Kangaroo Island, dove la popolazione dei koala è stata dimezzata. Tutti gli esperti sono concordi nel ritenere che – aldilà dei singoli roghi originati da un fulmine o dall’azione umana – le proporzioni degli incendi delle ultime settimane siano effetto indiretto dei cambiamenti climatici e dell’aumento globale delle temperature: siccità prolungata, caldo record, poche precipitazioni. Ecco alcuni elementi che richiedono precisazioni.
“183 piromani arrestati”
Diversi account Twitter, agevolati dai bot, hanno rilanciato la notizia di 183 arresti per gli incendi australiani. In realtà, i dati ufficiali diffusi dalla polizia del New South Wales dicono che le persone arrestate per aver appiccate volontariamente il fuoco, da novembre a oggi, sono 24. Altre 53 persone sono accusate di aver violato il “fire ban”, il divieto di accendere fuochi all’aperto e a altre 47 persone dovranno subire procedimenti legali minori per aver gettato una sigaretta o un fiammifero al suolo. Il Guardian parla di una mirata “campagna di disinformazione” dagli accenti negazionisti, che vuole esagerare il ruolo dei piromani e quindi ridimensionare gli effetti dei cambiamenti climatici.
“Incendi dolosi”
In questa stagione, gli incendi sono un fenomeno naturale piuttosto frequente: da tempo però i climatologi avvertono che il clima più caldo e più secco contribuisce a rendere i roghi più gravi e più frequenti. Secondo i dati diffusi dal Centro nazionale australiano per la ricerca sugli incendi nel 2019 solo il 13% degli incendi ha avuto un’origine dolosa, mentre un altro 37% era classificato come “sospetto”. Ma più che l’origine, il punto è che il caldo record e la stagione siccitosa hanno creato le condizioni perfette per alimentare a dismisura il fuoco, trasformando gli incendi un’emergenza nazionale difficile da contenere. Il 2019 infatti è stato l’anno più caldo nella storia del continente, secondo il Bureau of Meteorology. Gli esperti hanno attirato l’attenzione sulle conseguenze dei cambiamenti climatici, evidenti nel costante aumento delle temperature del continente nel corso degli anni.
“Mezzo miliardo di animali uccisi”
Oltre alle 29 vittime confermate, ha fatto molta impressione il dato degli 480 milioni di animali morti nelle fiamme, poi duplicato dal Wwf, che in un comunicato parla di “un miliardo di animali”. Il numero è una stima, ottenuta dai calcoli del professor Chris Dickman dell’Università di Sydney, che è successivamente intervenuto per spiegare da dove veniva quella valutazione. Anche se il titolo del report parlava di animali “uccisi”, il professor Dickman ha chiarito che la stima si riferisce agli animali a vario titolo “affected”, coinvolti o interessati, dal fuoco: quelli rimasti uccisi, quelli feriti, quelli che hanno perduto il proprio habitat. La Bbc spiega nel dettaglio i calcoli: è stata valutata una media di 17,5 mammiferi, 20,7 uccelli e 129.5 rettali per ettaro e moltiplicato questo numero per il totale di terra bruciata. Ci sono delle variabili importanti: gli uccelli e le specie di mammiferi più grandi verosimilmente sono scappati prima dell’arrivo del fuoco. Tuttavia gli esemplari sopravvissuti potrebbero comunque morire in un secondo momento per mancanza di cibo. Inoltre, al momento della pubblicazione, il report si riferiva agli incendi del South New Wales, prima che le fiamme si estendessero anche nello stato di Victoria.
Le “foto” satellitari
Sui social ha fatto il giro del mondo un’immagine creata dal grafico Anthony Hearsey, postata sul suo sito e sul suo profilo Instagram, in cui creava un’elaborazione grafica basandosi sui dati satellitari della Nasa e mostrava tutti i roghi che avevano interessato l’Australia nell’arco di un anno – dal 5 gennaio 2019 al 5 gennaio 2020 – e non contemporaneamente in questi giorni, come hanno pensato gli utenti che l’hanno condivisa in massa sui social prendendola per una “foto della NASA”. Instagram è corso ai ripari bollando la foto come “fake news” e oscurandola. L’autore in un post ha dovuto spiegare che “era stata creata come un lavoro d’arte” e che “doveva essere letta come un grafico”.
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“Cosa c’entra il cambiamento climatico?”
Un ricercatore italiano, Giorgio Vacchiano, in un post diventato virale su Facebook ha cercato di mettere ordine nei vari fattori meteorologici e climatici che hanno provocato un’emergenza di queste dimensioni. “La straordinaria siccità australiana è stata generata da una rara combinazione di fattori: normalmente il primo anello della catena è El Niño, un riscaldamento periodico del Pacifico meridionale che causa grandi cambiamenti nella meteorologia della Terra, che però quest’anno non è attivo. Si è invece verificato con una intensità senza precedenti un altro fenomeno climatico, il Dipolo dell’Oceano Indiano (IOD) – una configurazione che porta aria umida sulle coste africane e aria secca su quelle australiane”. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature dimostra che il riscaldamento globale può triplicare la frequenza di eventi estremi nell’IOD. Il responsabile del monitoraggio climatico del Bureau australiano, Karl Braganza, ha spiegato che la temperatura è aumentata di quasi due gradi lo scorso anno, e le precipitazioni sono diminuite: “La stagione degli incendi sta diventando più lunga, con focolai più frequenti e più intensi – ha commentato Braganza intervistato dal New York Times – quando guardiamo alle proiezioni del climate change capiamo che dobbiamo abituarci all’idea che questo trend continuerà”.