di Paolo Francesco Simonini
Mi chiamo Paolo. Da 7 anni partecipo all’appassionante gioco del totodiscarica per decidere dove buttare i rifiuti di Roma. Porto con me una croce che rappresenta la sofferenza dei cittadini, di fronte a una politica sorda al rispetto delle persone, alla salvaguardia della salute e dell’ambiente. È una croce vera, di legno. La prima era fatta con pali di castagno, pesava un accidente. Ora ne uso una da viaggio, comoda e ripiegabile.
La croce è stata a Pizzo del Prete, Malagrotta, Riano, Albano, Corcolle, a Roma per 9 giorni davanti al ministero dell’Ambiente, a Bracciano per 21 giorni davanti alla discarica di Cupinoro, a Colleferro, Cerveteri, Tragliatella, e ora di nuovo a Malagrotta e al Campidoglio. Comincio però ad avere un’età. A Tragliatella con il vento è stato un incubo. Così, ho pensato di dare un contributo perché mi piacerebbe vedere (fatemi sognare) un passo avanti in questa storia.
Una proposta: Roma è composta da municipi, che equivalgono a città. Il concetto, sbandierato da tanti anni, è che ognuno deve fare la propria parte. Che ognuno deve gestirsi i suoi rifiuti. Bene. Allora, a parte quelli centrali, ogni municipio dovrebbe dotarsi di:
1) Un centro di compostaggio, perché se gestito bene e in tempi rapidi il rifiuto organico non puzza, non produce percolato ma compost – utile e commerciabile. No assoluto alle centrali a biogas/biometano, dette biodigestori, impianti inutili che producono digestati tossici e favoriscono la diffusione del botulismo – come è stato accertato in Germania. Sì al compostaggio di comunità, nelle scuole, nei parchi, negli uffici, ovunque. Sì al compostaggio sul balcone di casa.
2) Un’isola per la raccolta dei rifiuti ingombranti e speciali, con annesso un centro per il recupero, il riciclo e il riuso, gestito dal pubblico, dove un cittadino può anche comprare oggetti usati a un prezzo modico e con la soddisfazione di aver trasformato un rifiuto in qualcosa di utile. La raccolta dovrebbe comprendere una gamma di rifiuti sempre più ampia e specifica, per ridurre sempre di più l’indifferenziato.
3) Piattaforme (anche insieme ad altri municipi) per lo stoccaggio dei materiali riciclabili: carta, metallo, vetro. Per la plastica il discorso è più difficile. Roma dovrebbe dotarsi di impianti per il riciclo della plastica in grado di gestirne i vari tipi. Ma dobbiamo comprendere una volta per tutte che riciclare la plastica non conviene. Per questo tutti ne parlano e nessuno lo fa. Per questo i capannoni bruciano. Per questo la plastica viene incenerita, diffondendo diossine e micidiali nanoparticelle, aggravando il problema in modo esponenziale. Per questo ora invade i nostri polmoni e il nostro corpo, il mare e i bordi delle nostre strade da terzo mondo. Con la plastica non c’è niente da fare. Va ridotta. All’origine. A qualunque costo.
4) Una discarica di servizio. Purtroppo. Una per municipio, piccola, pubblica, per i rifiuti che davvero non è possibile riciclare. Ma la discarica inquina, è una sconfitta per la comunità. Per questo è necessario il massimo impegno – di tutti – per ridurre plastica e rifiuti indifferenziati a monte, per conferire sempre meno, fino a chiuderla. E metterci una croce.
Sì, lo so, è una proposta indecente. Nessuno ci lucra. Anzi, bisogna spendere qualcosa per mettere in piedi un sistema su queste basi. Lo so, è molto più semplice buttare tutto dentro un buco. O costruire un termovalorizzatore, come lo chiamano i lobbisti (ma anche cancrovalorizzatore, come lo chiamiamo noi cittadini) e bruciare tutto in allegria – salute e futuro compresi.
Che facciamo, cosa decidiamo? Possiamo condannare ancora una volta una comunità di cittadini a pagare per tutti, buttarle addosso questa croce. Oppure: risorgere.
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