“Uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo”, “una vera e propria epidemia globale”. Così l’Organizzazione Mondiale della Sanità sull’obesità, ormai universalmente riconosciuta come condizione associata a morte prematura, nonché fattore di rischio per le principali malattie croniche; con un aspetto del problema particolarmente grave rappresentato dall’obesità infantile.
Nello scorso dicembre è stata presentata la revisione 2018 delle “Linee Guida per una sana alimentazione”, redatte dal Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura costituito presso il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Si tratta del “documento italiano di riferimento sulla sana alimentazione rivolto ai consumatori”, come si legge sul sito del Crea. Che continua: “L’obiettivo prioritario delle Linee Guida è la prevenzione dell’eccesso alimentare e dell’obesità che, in Italia, soprattutto nei bambini, mostra dati preoccupanti.”
A tal fine, sono indicate 13 direttive suddivise in quattro blocchi logici; due dei quali riguardano “alimenti o gruppi il cui consumo deve essere incentivato (‘più è meglio’)”; “nutrienti critici nella dieta attuale e il cui consumo dovrebbe essere ridotto (‘meno è meglio’)”. Tra i primi compaiono frutta, verdura, cereali integrali, legumi e acqua. Tra i secondi grassi, zuccheri, sale e bevande alcoliche.
Sono solo alcuni, parzialissimi, dati che possono permettere di inquadrare la gravità del fenomeno per come analizzato e divulgato dalle principali istituzioni competenti su scala planetaria e nazionale. In questo quadro nasce il NutriScore, “un’iniziativa di informazione nutrizionale sviluppata da ricercatori universitari indipendenti dell’Università di Parigi e dell’Inserm”, come si legge in un articolo pubblicato di recente a firma di cinque studiosi della materia; nonché raccomandata da tanti Comitati di esperti in tutto il mondo (a partire dall’Oms) e già adottata da vari Stati europei.
Studiosi che sono stati letteralmente costretti a prendere posizione per fare un po’ di chiarezza sul tema dopo le esternazioni, come sempre competenti e autorevoli, di alcuni loro “pari”: tipo Matteo Salvini e Mariastella Gelmini. Secondo i quali, giusto per citare fior da fiore, dal NutriScore si ricaverebbe che “Coca-Cola zero è considerata più salutare del parmigiano reggiano, dell’olio d’oliva e del prosciutto di Parma”; oppure che lo stesso costituirebbe un “semaforo rosso per metterci in guardia dai prodotti della dieta mediterranea.”
Non è chiarissimo se per la Gelmini Coca-Cola zero, olio d’oliva e parmigiano siano beni tra loro fungibili per quanto riguarda uso e proprietà nutrizionali. Né è dato conoscere il numero di pubblicazioni di Salvini sulla dieta mediterranea. Quello che si saprebbe – se, pur di rado, si provasse quella sensazione un po’ straniante che può fornire a taluno l’apertura di un libro – è che Ancel Keys, lo “scopritore” della dieta mediterranea, “si convinse infine e riuscì a dimostrare che l’elevata frequenza di malattia coronarica era in buona misura correlata a un’alimentazione troppo ricca in grassi saturi e al corrispondente incremento della colesterolemia. Di qui il convincimento che il modello di alimentazione mediterraneo, povero in grassi animali e basato in prevalenza su alimenti vegetali e sull’uso di olio di oliva come condimento quasi esclusivo, meritasse massimo apprezzamento e condivisione.” (dalla prefazione di M. Mancini a La dieta mediterranea di A. e M. Keys). Esattamente il modello alimentare che tende a promuovere il NutriScore (che classifica l’olio d’oliva con il miglior punteggio possibile tra gli oli vegetali, nda).
Nessuno stato di polizia alimentare, dunque; nessuna demonizzazione di alcun alimento. Solo informazione: chiara, sintetica, “a colpo d’occhio”. Priva di conflitti d’interesse, soprattutto. Poi ognuno decide e mangia come vuole. Come si dovrebbe fare con il diritto di voto, grosso modo. Il resto è chiacchiera da Università della Vita, speculazione politica – ulteriormente becera, come sempre quando c’è di mezzo la salute pubblica – o campagna commerciale. E non è detto che le tre cose siano sempre tra loro distinte.
Una nota finale su quello che, forse, è un rischio reale del NutriScore: non vorremmo che qualcuno fosse indotto a pensare che con questo strumento si risolvano sostanzialmente i principali problemi di sicurezza alimentare. In breve, che qualcuno pensasse che, per un’alimentazione sana, l’importante sia mangiare molte verdure e pochi grassi e tutto il resto è noia; che i metodi di produzione di un cibo – di una cima di rapa come di un prosciutto – siano sostanzialmente irrilevanti rispetto alla sua salubrità. Per dirla tutta, che tra un alimento su cui durante la sua produzione è stato sversato glifosato e un alimento biologico non vi siano sostanzialmente differenze.
Ecco, se passasse direttamente o indirettamente un simile messaggio allora sì, con il NutriScore avremmo un problema.