Due anni di carcere per procurata inosservanza della pena. L’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola è stato condannato in primo grado nel processo “Breakfast”. Lo ha stabilito il Tribunale di Reggio Calabria che lo ha giudicato colpevole per aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare Amedeo Matacena. Scajola era stato arrestato nel 2014 dalla Dia al termine di un’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Dopo 5 anni di dibattimento e più di 120 udienze, oggi il presidente del Tribunale Natina Praticò ha letto in aula bunker il dispositivo di sentenza.
Per lo stesso reato contestato a Scajola è stata condanna a un anno di carcere pure Chiara Rizzo, la moglie di Matacena per la quale la Dda aveva chiesto una pena molto più alta (11 anni) ma, evidentemente, al vaglio del Tribunale non ha retto l’aggravante mafiosa. Piuttosto, vista la pena che le è stata inflitta (la metà dell’ex ministro) non è escluso che i giudici le abbiano riconosciuto qualche attenuante.
L’aggravante mafiosa, in un primo momento, aveva riguardato anche l’attuale sindaco di Imperia ma alcune recenti sentenze di Cassazione, sulla sufficienza del dolo generico rispetto al dolo specifico, hanno indotto il pm a riformulare l’accusa riducendo, durante la requisitoria, la richiesta di condanna (4 anni e mezzo di carcere) nei confronti di Scajola. In sostanza, così come sostenuto dal procuratore aggiunto nelle precedenti udienze, anche per i giudici di primo grado “non è dimostrato che Scajola abbia agito favorendo la latitanza Amedeo Matacena al fine di agevolarlo quale componente esterno della ‘ndrangheta”.
In altre parole l’ex ministro e fondatore di Forza Italia avrebbe favorito Amedeo Matacena in quanto suo compagno di partito che però è un politico già condannato definitivamente per concorso esterno con la ‘ndrangheta (nel processo “Olimpia”) e considerato espressione della cosca Rosmini. Il Tribunale, presieduto dal giudice Natina Praticò, ha decretato inoltre la prescrizione per la segretaria di Matacena, Maria Grazia Fiordaliso, mentre è stato assolto il collaboratore dell’ex deputato, Martino Politi.
Il processo “Breakfast” ha ricostruito il tentativo dell’ex parlamentare di Forza Italia, oggi latitante a Dubai, di trasferirsi dagli Emirati Arabi a Beirut, in Libano, dove l’ex ministro dell’Interno Scajola, stando all’impianto accusatorio, avrebbe potuto godere di appoggi istituzionali. L’uomo di collegamento sarebbe stato Vincenzo Speziali, anche lui coinvolto nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria a cui, dopo un periodo di irreperibilità, ha chiesto e ottenuto di patteggiare la pena per lo stesso reato contestato a Scajola.
Speziali, infatti, è parente acquisito dell’ex presidente del Libano Amin Gemayel che, più volte e invano, è stato chiamato a deporre davanti al Tribunale. A proposito, proprio stamattina prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, durante il suo intervento il procuratore aggiunto Lombardo ha spiegato che Amin Gemayel è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Speziali è “il soggetto – ha ricordato il pm Lombardo – incaricato di svolgere le funzioni agevolatrici che avrebbero consentito di avere risposte dalla Repubblica del Libano”. “L’uomo di collegamento”, infatti, “non è uno qualunque e il suo rapporto con Claudio Scajola è una chiave di lettura importante in relazione alla vicenda di Dell’Utri”.
Siamo nel 2014 e, secondo la Procura di Reggio Calabria, i destini di Marcello Dell’Utri e di Amedeo Matacena percorrono due strade parallele ed entrambe portano in Libano. Non è un caso che il primo, dopo che la sua sentenza è diventata definitiva, è stato arrestato a Beirut dove, da lì a poco, si sarebbe voluto rifugiare anche il parlamentare reggino. Grazie alle intercettazioni registrate dalla Dia di Reggio Calabria, il procuratore Lombardo è riuscito a ricostruire i movimenti di Scajola, fino a poco tempo prima ministro dell’Interno del governo Berlusconi. Moltissimi, infatti, sono stati i contatti tra il politico ligure e la moglie di Matacena Chiara Rizzo.
Intercettazioni che, dopo aver portato al loro arresto, sono state al centro del processo concluso oggi. Telefonate e attività di indagine classica che fanno il paio con il fax partito da Beirut e trovato dagli agenti della Dia in possesso di Scajola durante la perquisizione il giorno dell’arresto. Un fax in lingua francese con le indicazioni che si sarebbero dovute seguire per far ottenere a Matacena l’asilo politico in Libano.
“Speravo si risolvesse già in primo grado – è il commento di Scajola a caldo, pochi minuti dopo la sentenza – Poiché sono uomo delle istituzioni e credo nella giustizia, vuol dire che ciò che non è stato sufficiente in primo grado sono certo che si risolverà nel secondo grado. Posso solo dire che a confronto della richiesta di condanna del pubblico ministero e di tutta l’inchiesta, mi pare che si sia sostanzialmente sgonfiata. Non mi dimetterò da sindaco di Imperia. Proseguo il mio lavoro ancora con più impegno di prima perché nulla di questo entra con la mia attività amministrativa. Né nulla di questa condanna in primo grado ha a che fare con reati contro il patrimonio e quant’altro. Io ribadisco che mi sono interessato con l’ambasciata per vedere se era possibile l’asilo politico. Non penso sia questo un reato. Non ho aiutato Matacena, ma solo una donna (Chiara Rizzo, ndr) che era in affanno”.
A proposito, soffermandosi sul comportamento di Scajola, nelle settimane scorse il procuratore aggiunto Lombardo lo aveva definito “un uomo di Stato con incarichi elevatissimi e quindi in grado di rendersi conto di cosa significhi agevolare la latitanza di un soggetto condannato in via definitiva per un reato molto grave quale è il delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso”. Neanche la sua condanna a 2 anni di carcere, però, soddisfa l’interrogativo che il pm si è posto durante la requisitoria: “Dobbiamo per forza chiederci perché lo ha fatto e soprattutto cosa ha fatto”. Una risposta, forse, ci sarà nelle motivazioni della sentenza “Breakfast” che il Tribunale depositerà entro 90 giorni.
Giustizia & Impunità
Claudio Scajola, l’ex ministro condannato a 2 anni per aver favorito la latitanza di Matacena
Scajola era stato arrestato nel 2014 dalla Dia al termine di un’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Un anno di condanna a Chiara Rizzo, moglie dell'ex parlamentare. Prescritta invece la segretaria di Matacena, Maria Grazia Fiordaliso, mentre è stato assolto Martino Politi. La reazione dell'ex membro del governo Berlusconi: "Non mi dimetterò da sindaco di Imperia. L'inchiesta si è già sgonfiata"
Due anni di carcere per procurata inosservanza della pena. L’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola è stato condannato in primo grado nel processo “Breakfast”. Lo ha stabilito il Tribunale di Reggio Calabria che lo ha giudicato colpevole per aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare Amedeo Matacena. Scajola era stato arrestato nel 2014 dalla Dia al termine di un’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Dopo 5 anni di dibattimento e più di 120 udienze, oggi il presidente del Tribunale Natina Praticò ha letto in aula bunker il dispositivo di sentenza.
Per lo stesso reato contestato a Scajola è stata condanna a un anno di carcere pure Chiara Rizzo, la moglie di Matacena per la quale la Dda aveva chiesto una pena molto più alta (11 anni) ma, evidentemente, al vaglio del Tribunale non ha retto l’aggravante mafiosa. Piuttosto, vista la pena che le è stata inflitta (la metà dell’ex ministro) non è escluso che i giudici le abbiano riconosciuto qualche attenuante.
L’aggravante mafiosa, in un primo momento, aveva riguardato anche l’attuale sindaco di Imperia ma alcune recenti sentenze di Cassazione, sulla sufficienza del dolo generico rispetto al dolo specifico, hanno indotto il pm a riformulare l’accusa riducendo, durante la requisitoria, la richiesta di condanna (4 anni e mezzo di carcere) nei confronti di Scajola. In sostanza, così come sostenuto dal procuratore aggiunto nelle precedenti udienze, anche per i giudici di primo grado “non è dimostrato che Scajola abbia agito favorendo la latitanza Amedeo Matacena al fine di agevolarlo quale componente esterno della ‘ndrangheta”.
In altre parole l’ex ministro e fondatore di Forza Italia avrebbe favorito Amedeo Matacena in quanto suo compagno di partito che però è un politico già condannato definitivamente per concorso esterno con la ‘ndrangheta (nel processo “Olimpia”) e considerato espressione della cosca Rosmini. Il Tribunale, presieduto dal giudice Natina Praticò, ha decretato inoltre la prescrizione per la segretaria di Matacena, Maria Grazia Fiordaliso, mentre è stato assolto il collaboratore dell’ex deputato, Martino Politi.
Il processo “Breakfast” ha ricostruito il tentativo dell’ex parlamentare di Forza Italia, oggi latitante a Dubai, di trasferirsi dagli Emirati Arabi a Beirut, in Libano, dove l’ex ministro dell’Interno Scajola, stando all’impianto accusatorio, avrebbe potuto godere di appoggi istituzionali. L’uomo di collegamento sarebbe stato Vincenzo Speziali, anche lui coinvolto nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria a cui, dopo un periodo di irreperibilità, ha chiesto e ottenuto di patteggiare la pena per lo stesso reato contestato a Scajola.
Speziali, infatti, è parente acquisito dell’ex presidente del Libano Amin Gemayel che, più volte e invano, è stato chiamato a deporre davanti al Tribunale. A proposito, proprio stamattina prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, durante il suo intervento il procuratore aggiunto Lombardo ha spiegato che Amin Gemayel è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Speziali è “il soggetto – ha ricordato il pm Lombardo – incaricato di svolgere le funzioni agevolatrici che avrebbero consentito di avere risposte dalla Repubblica del Libano”. “L’uomo di collegamento”, infatti, “non è uno qualunque e il suo rapporto con Claudio Scajola è una chiave di lettura importante in relazione alla vicenda di Dell’Utri”.
Siamo nel 2014 e, secondo la Procura di Reggio Calabria, i destini di Marcello Dell’Utri e di Amedeo Matacena percorrono due strade parallele ed entrambe portano in Libano. Non è un caso che il primo, dopo che la sua sentenza è diventata definitiva, è stato arrestato a Beirut dove, da lì a poco, si sarebbe voluto rifugiare anche il parlamentare reggino. Grazie alle intercettazioni registrate dalla Dia di Reggio Calabria, il procuratore Lombardo è riuscito a ricostruire i movimenti di Scajola, fino a poco tempo prima ministro dell’Interno del governo Berlusconi. Moltissimi, infatti, sono stati i contatti tra il politico ligure e la moglie di Matacena Chiara Rizzo.
Intercettazioni che, dopo aver portato al loro arresto, sono state al centro del processo concluso oggi. Telefonate e attività di indagine classica che fanno il paio con il fax partito da Beirut e trovato dagli agenti della Dia in possesso di Scajola durante la perquisizione il giorno dell’arresto. Un fax in lingua francese con le indicazioni che si sarebbero dovute seguire per far ottenere a Matacena l’asilo politico in Libano.
“Speravo si risolvesse già in primo grado – è il commento di Scajola a caldo, pochi minuti dopo la sentenza – Poiché sono uomo delle istituzioni e credo nella giustizia, vuol dire che ciò che non è stato sufficiente in primo grado sono certo che si risolverà nel secondo grado. Posso solo dire che a confronto della richiesta di condanna del pubblico ministero e di tutta l’inchiesta, mi pare che si sia sostanzialmente sgonfiata. Non mi dimetterò da sindaco di Imperia. Proseguo il mio lavoro ancora con più impegno di prima perché nulla di questo entra con la mia attività amministrativa. Né nulla di questa condanna in primo grado ha a che fare con reati contro il patrimonio e quant’altro. Io ribadisco che mi sono interessato con l’ambasciata per vedere se era possibile l’asilo politico. Non penso sia questo un reato. Non ho aiutato Matacena, ma solo una donna (Chiara Rizzo, ndr) che era in affanno”.
A proposito, soffermandosi sul comportamento di Scajola, nelle settimane scorse il procuratore aggiunto Lombardo lo aveva definito “un uomo di Stato con incarichi elevatissimi e quindi in grado di rendersi conto di cosa significhi agevolare la latitanza di un soggetto condannato in via definitiva per un reato molto grave quale è il delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso”. Neanche la sua condanna a 2 anni di carcere, però, soddisfa l’interrogativo che il pm si è posto durante la requisitoria: “Dobbiamo per forza chiederci perché lo ha fatto e soprattutto cosa ha fatto”. Una risposta, forse, ci sarà nelle motivazioni della sentenza “Breakfast” che il Tribunale depositerà entro 90 giorni.
Articolo Precedente
Eternit bis, Schmidheiny va a processo per le 392 vittime dell’amianto. Il giudice conferma il capo d’accusa: omicidio volontario
Articolo Successivo
Claudio Scajola condannato a due anni per latitanza Matacena: “Dimettermi da sindaco? No proseguo con più impegno di prima”
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Zonaeuro
L’assalto all’Ue dei lobbisti delle armi: 18 incontri con i commissari nei primi tre mesi del von der Leyen II. E il budget dei gruppi di pressione fa +40% in un anno
Mondo
Ucraina, Mattarella: “Pace basata su prepotenza non durerebbe a lungo”. Truppe italiane? “Presto per dirlo”
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
La corsa militare dell’Europa innesca una ondata di vendite sui debiti dei Paesi: su gli interessi
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.