Ci avevamo creduto, finalmente il tema della sostenibilità e dei cambiamenti climatici, nell’ambito della più ampia materia dell’educazione civica, sarebbero diventate materie integranti del programma scolastico nelle scuole italiane. Per preparare le generazioni future ad affrontare seriamente quelle emergenze provocate da decenni di mala-gestione e inappropriati modelli di sviluppo. Dall’Italia sarebbe quindi partito un segnale forte: primo Paese al mondo ad inserire questi temi tra le materie obbligatorie.

Partendo quindi dall’articolo 2 della legge 92/2019, che recita: “L’Educazione Civica sviluppa nelle istituzioni scolastiche la conoscenza della Costituzione Italiana e delle istituzioni dell’Unione Europea per sostanziare, in particolare, la condivisione e la promozione dei principi di legalità, cittadinanza attiva e digitale, sostenibilità ambientale e diritto alla salute e al benessere della persona”, lo Stato avrebbe cominciato a parlare con gli insegnanti e gli studenti di tematiche alla base delle emergenze e dei disastri ambientali che ormai ogni giorno si leggono sui giornali.

Sappiamo com’è andata a finire: il ministro Fioramonti, che aveva presentato tale proposta, si è dimesso e adesso non si capisce che impostazione avranno le iniziative di formazione degli insegnanti su questi temi. Un timore c’è, leggendo il comunicato lanciato dall’Associazione Nazionale Presidi (Anp), che informa in merito al programma, siglato con l’Eni, di incontri sui temi della sostenibilità ambientale dedicato alle scuole italiane.

Al posto degli eminenti esperti individuati dalla proposta di Fioramonti come consulenti dello staff ministeriale per formare gli insegnanti – ossia Jeffrey D. Sachs (direttore dell’Harvard Institute for International Development) e Kate Raworth (Università di Oxford e Cambridge) – si avranno direttamente nelle scuole italiane gli esperti di una delle aziende petrolifere più grandi al mondo, tra l’altro accusata di enormi disastri ambientali, casi di corruzione ad alto livello e sfruttamento delle popolazioni più povere. Il programma dei seminari è già pronto e il primo ciclo è partito da Roma il 21 gennaio, con termine a Bari il 20 febbraio.

Visto che si tratta di seminari di approfondimento per gli insegnanti di scuole pubbliche, siamo certi che Eni sarà “super partes” nel discorrere sui temi della sostenibilità? O meglio, quello che Eni intende per “sostenibilità” è lo stesso di quello che dovrebbe intendere un Paese, come l’Italia, che si è impegnato a ridurre le proprie emissioni di gas climalteranti di almeno il 40% entro il 2030 e addirittura, idealmente, ad azzerarle entro il 2050? Difficile da credere.

Di recente, Eni è stata anche multata dall’Antitrust per pubblicità ingannevole sul diesel green e anche se l’azienda ricorrerà al Tar, rimane il fatto che il suo “core business” è incompatibile con un programma di educazione ambientale nelle scuole. Anzi, sarebbe anche incompatibile con gli obiettivi che si è posta l’Italia nell’ambito degli Accordi di Parigi e ci domandiamo ancora perché il nostro Paese, che possiede una quota azionaria superiore al 30%, detenendo quindi un controllo effettivo della società (normato anche attraverso la cosiddetta golden share), non decida di giocare un ruolo strategico nella transizione verso un’Italia a zero emissioni chiamando in causa proprio un’azienda di punta sulla quale un certo potere di indirizzo ce l’ha.

Il governo deve farsi sentire e mandare un segnale ai dirigenti scolastici. Gli insegnanti e le future generazioni vanno informate ed educate sui temi ambientali da esperti super partes, non da chi fa profitto e danneggia l’ambiente con le proprie attività. Al limite, si sarebbero potuti giustificare seminari aperti alle diverse opinioni, ad esempio ambientalisti e imprenditori che si confrontano davanti agli insegnanti e agli studenti. Ma non far ascoltare una sola campana (e anche la meno qualificata). Questo è grave. Teachers for Future Italia ha già lanciato l’allarme che non va assolutamente sottovalutato.

L’informazione nelle scuole e la formazione degli insegnanti sui temi ambientali sono pilastri fondamentali se vogliamo cambiare, in meglio, la nostra società. Ci sono organizzazioni non governative ed associazioni che da anni portano avanti programmi di educazione ambientale nelle scuole e mi auguro che i dirigenti scolastici, ma ancor di più il governo nazionale, diano una risposta concreta e si lanci, finalmente, un programma nazionale, finora mai visto, di educazione ambientale degno del nostro Paese.

Colgo l’occasione per dare un suggerimento per affidarsi a soggetti veramente super partes. In Italia c’è un’associazione che sta portando avanti un lavoro egregio: tentare di cambiare quel modello economico che è alla base di quanto oggi stiamo subendo come effetti del cambiamento climatico, attraverso un radicale ripensamento del nostro vivere quotidiano. Si tratta dell’Associazione progetti alternativi per l’energia e l’ambiente (Paea) che, con il portale Il Cambiamento cerca proprio di far capire l’importanza delle scelte di ognuno di noi per un pianeta più vivibile e che proprio in questo periodo ha lanciato una proposta nazionale sull’educazione ambientale.

Ecco, sono questi i soggetti ai quali eventualmente affidare un programma di educazione ambientale nelle scuole, non ai petrolieri.

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