Vita nei boschi. In Canada. In mezzo alla neve e al ghiaccio nel 2019. Nascosta sotto quintali di coperte e di fianco ad una stufa a legna in una piccola capanna. Attorniata da lupi e animali selvaggi. Lontano dalla deriva della società dei consumi e dai ritmi devastanti della vita contemporanea. Gabrielle Filteau-Chiba questa fuga dal mondo ha provato almeno a descriverla nel suo agile romanzetto di nemmeno un centinaio di pagine. Nella tana (Lindau) è una sorta di block notes giornaliero poeticamente descrittivo di stati d’animo e natura circostante, con una piccola postilla finale ogni giorno che riguarda una curiosa lista delle cose da fare e non fare per sopravvivere. Il tono è screziato da cupezza, ironia e malinconia. Le considerazioni in prima persona spaziano dal femminismo radicale, alla difesa di ambiente e radici indigene, fino ad un anticonformismo socio-economico tendente, ma mai realmente, esiziale. Lo stile però rasenta il parossismo della reiterazione che invece di affondare, ravvivando, il colpo in una sorta di maelstrom dello spirito e dell’anima, cuoce a fuoco lento l’unica minestra disponibile di un vago autocompiacimento. Peccato, perché lo sforzo idealistico è encomiabile, le suggestioni spaziali e mentali sanno di autentica radicalità esperienziale. Una lettura curiosa, naif, a suo modo ribelle, sulla lontana, forse meno cosciente, scia di un Henry Thoreau, e cugina minore di Christopher McCandless. Da leggere a lume di candela con cuffia d’alpaca in testa. Voto: 6+