Il primo giorno serve per riprendersi dalla botta. Al secondo inizia a circolare la domanda fatidica: e adesso? Trentasei ore dopo le dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico del Movimento 5 stelle, la risposta che tutti cercano riguarda il futuro. Parlamentari, consiglieri locali e semplici attivisti si chiamano e scambiano messaggi per capire quali saranno le prossime mosse. Si prova a interpretare il gesto del leader: “Fa sul serio?“, è il punto intorno al quale ruotano tutti. E, ancora una volta, la mossa divide le varie anime. E’ un proliferare di opinioni: per alcuni è stato solo un “maldestro tentativo” di farsi da parte pensando già al rientro; per altri un’occasione irripetibile per azzerare tutto. E mentre provano a decifrare le reali intenzioni dell’ormai “solo” ministro degli Esteri, iniziano a riposizionarsi: critici, moderati, polemici lievi, progressisti e dissidenti. Ma pure ex fedelissimi ora senza bussola. Sembra un po’ il famoso “gioco delle sedie” delle feste del liceo: all’improvviso si è spenta la musica, quella che faceva girare la baracca in modo sempre meno ordinato, e tutti corrono per cercare di trovare il posto migliore ed evitare di restare in piedi con il cerino in mano. “Adesso si trema”, commenta qualcuno. Nel caos generale, le certezze sono poche: il reggente è il viceministro Vito Crimi, componente anziano del collegio di garanzia e uomo di fiducia del M5s; lui e i membri del team del futuro (scelti, ricordiamolo, dallo stesso Di Maio solo poche settimane fa) traghetteranno il Movimento verso gli Stati generali del 13-15 marzo. Da statuto le nuove elezioni in rete si dovrebbero convocare entro 30 giorni dalle dimissioni del capo politico, ma l’intenzione è di applicare una deroga per superare prima l’assemblea generale. Basta per placare le tensioni? No. Prima si dovrà riuscire a superare il fossato delle Regionali: domenica, salvo sorprese, prenderanno una batosta durissima in Calabria ed Emilia-Romagna e dovranno farlo in apnea sperando di arrivare all’altra sponda senza ulteriori scosse interne. Sarebbe già qualcosa.

Un punto fisso: gli Stati generali di marzo – Nell’orizzonte così poco chiaro che si delinea per i 5 stelle c’è una data limite, anzi è un weekend: dal 13 al 15 marzo i 5 stelle si vedranno per ridiscutere chi sono e dove vogliono andare. Sarà un altro passaggio storico, anche perché molto simile a quelle assemblee di partito che in passato hanno sempre disdegnato. Il luogo non è ancora stato reso noto: “Dovrà essere simbolico, perché segnerà l’inizio di una nuova fase e sarà ricordato per sempre nella storia del Movimento”, commenta chi sta lavorando all’organizzazione. Cosa succederà in quella tre giorni ancora non è chiaro. Agli Stati generali, “dovremo essere onesti con noi stessi, dirci cosa possiamo realizzare per questo Paese e per cosa invece oggi non ci sono ancora le condizioni”, ha detto Di Maio. Gli eletti si chiedono nella pratica cosa voglia dire: ci saranno i portavoce? Saranno aperti a tutti? Chi gestirà la discussione? “Insieme discuteremo la nuova carta dei valori del Movimento. Discuteremo su progetti e temi”, ha chiuso Di Maio. Di certo si preannuncia come uno spartiacque per il nuovo Movimento: lì si deciderà cosa dovrà diventare la nuova creatura politica, se avrà un capo o più di uno e come sarà scelto. L’errore che non possono permettersi? Lasciare che sia l’ennesimo incontro per ratificare decisioni già prese dall’alto. Perché la pazienza di quello che è rimasto della base è terminata.

L’incognita Luigi Di Maio – Il capo politico dimissionario dove sarà? L’ormai ex leader ha detto che non ha nessuna intenzione di farsi totalmente da parte. “Non ci penso per nulla di mollare”, ha detto sempre nel suo discorso di addio. “Ci sarò e porterò le nostre idee”. I più vicini al ministro degli Esteri in queste ore assicurano che non vuole ricandidarsi e che d’ora in poi lavorerà con un altro ruolo. E’ una versione che all’interno discutono in tanti. “Pensa che ci crediamo davvero?“, commenta una fonte a ilfattoquotidiano.it. “Tutto quello che ha fatto è per riuscire a restare ed evitare di essere completamente esautorato nei suoi poteri. Non aveva altra scelta”. Ed effettivamente il discorso che ha fatto al Tempio di Adriano a Roma è un discorso di attacco ai nemici interni e ancorato a tutti i risultati che il Movimento ha ottenuto sotto la sua guida. “E’ stato molto distruttivo”, è un’altra delle riflessioni. “Se ne è andato mostrando che d’ora in poi non farà più il mediatore e lavorerà da fuori soprattutto per se stesso. Solo che ora sarà costretto a far vedere da che parte sta. Non sarà più sufficiente mostrarsi come il democristiano, vedremo il suo vero volto”. In quali vesti si presenterà agli Stati generali è difficile da prevedere. “Al momento si possono fare solo congetture”, continuano. “Ma è chiaro che è lui ad aver apparecchiato il tavolo per quello che verrà e che il suo potere d’influenza è ancora forte”. Resta da vedere se riuscirà effettivamente a tenere il controllo sulla struttura, anche dalle retrovie.

La caccia alle persone: tandem sì o no? – Neanche aveva finito di togliersi la cravatta, che già intorno era iniziata la caccia. E’ presto. Neppure hanno deciso se la piattaforma Rousseau potrà essere ancora il luogo di confronto idoneo per il Movimento e già si parla del volto da sostituire alla figurina di Luigi Di Maio. Se ne sono sentite di tutti i tipi. Si è parlato di tandem: una coppia di parlamentari apprezzati da parlamentari e base che possa gestire il M5s. I nomi fatti sono stati quelli di Stefano Patuanelli, ministro e apprezzato dai gruppi, e Paola Taverna, vicepresidente del Senato e 5 stelle della prima ora. “Impossibile, hanno già altri incarichi importanti”, è però il commento di alcuni. “Li mandano avanti per bruciarli”. Il nome più quotato di tutti rimane quello della sindaca di Torino Chiara Appendino: voce pacata e molto stimata dai vertici, l’hanno citata in tanti in queste ore, anche se lei ha già espresso le sue perplessità. Ma questa volta, se certi ragionamenti si faranno, dovranno tenere in considerazione anche il Nord, troppo spesso trascurato: quindi gente come Stefano Buffagni o Riccardo Fraccaro. “Sono tutte supposizioni, nessuno sa niente e si sparano nomi nel mucchio”, tagliano corto. Senza dimenticare che, se Giuseppe Conte starà fuori dalla partita perché volutamente concentrato sul governo, un’altra figura potrebbe essere tirata in causa: Roberto Fico. Non sarà lui a offrirsi, ma se lo dovessero reclamare non si tirerà indietro.

L’ipotesi comitato eletto dagli iscritti – In questo clima di grande confusione, c’è sempre sul tavolo la proposta dei tre senatori Primo Di Nicola, Nicola Dessì e Mattia Crucioli. Proprio il loro documento, presentato a inizio gennaio e sottoscritto da un gruppo consistente di parlamentari, è stata una delle gocce che ha fatto traboccare la pazienza di Luigi Di Maio. Il documento chiede di eliminare il ruolo del capo politico e sostituirlo o almeno affiancarlo con “un organismo collegiale democraticamente eletto”. Ma soprattutto mette sul tavolo anche la difficilissima questione della piattaforma Rousseau che, chiedono, non deve più essere nelle mani di Davide Casaleggio. Ecco, i promotori del documento puntano a discutere la loro proposta proprio agli Stati generali. Sulla carta è la mozione, se potessimo usare i termini dei partiti tradizionali, più difficile da discutere perché richiede una forte maturità del Movimento: capacità di evoluzione e un cambio strutturale. Eppure secondo alcuni potrebbe essere interesse dello stesso Di Maio evitare di incoronare una singola persona, ma rendere “collegiali” le decisioni per continuare così ad avere un’influenza da fuori. Al momento le difficoltà stanno a monte: riuscire a calendarizzare la discussione del documento per un’assemblea senza programma né scaletta.

E Alessandro Di Battista? – E’ la carta che potrebbe stravolgere tutto. L’ex deputato, uno dei volti più simbolici del Movimento e uno di quei leader capace ancora di risvegliare le piazze dei 5 stelle. Parla alla base, allo zoccolo duro e, essendo fuori da tutte le dinamiche, può dire di non essersi “sporcato” con i compromessi di governo. Attualmente è in viaggio in Iran e, nel mentre, tutti nel M5s aspettano che dia una segnale. Faccia un cenno, si esponga. Dica un sì o un no. Per alcuni basterebbe un “nì”. Il rapporto con Di Maio va avanti da sempre tra alti e bassi. Il capo politico dimissionario lo ha sempre sofferto, ma c’è addirittura chi non esclude che i due possano trovare una nuova intesa ed essere loro il tandem che guiderà il Movimento. Perché di fatto, nello spirito, hanno molte similitudini e se trovassero un equilibrio, ora che Di Maio è un portavoce semplice (seppur ministro per carità), potrebbero raggiungere un punto di incontro e fare strategia comune. C’è nel Movimento chi è pronto a scommettere che almeno ci abbiano pensato. Insomma tante ipotesi e al momento pochissime: le prossime settimane saranno decisive per capire dove vuole andare il M5s. E se ci arriverà intero.

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