Il centrosinistra di Stefano Bonaccini vince contro Matteo Salvini e la Lega in Emilia-Romagna. La berlusconiana Jole Santelli trionfa in Calabria con oltre 20 punti davanti all’avversario. Il Movimento 5 stelle sparisce in entrambe le Regioni. Le elezioni Regionali del 27 gennaio saranno ricordate come l’evento che è riuscito a invertire una tendenza. Era il risultato meno scontato: la prima sconfitta del leader della Lega, forse ancora di più di un’eventuale sua vittoria, è destinata ad avere effetti sul governo e su quello che sarà nei prossimi mesi. La spallata promessa e annunciata quotidianamente dall’ex ministro dell’Interno non è arrivata: non sono bastate le decine di comizi sui territori e una presenza praticamente costante negli ultimi tre mesi. È stato proprio Salvini, mentre i leader avversari si nascondevano a Roma, a voler trasformare la partita in una sfida nazionale e ora nazionali saranno le conseguenze della sconfitta. L’immagine del leader trascinato dai sondaggi e capace di dominare la comunicazione in rete e non solo è stata scalfita: Matteo Salvini è battibile e questa è la novità che esce dalle urne regionali.
In Emilia-Romagna, a scrutinio concluso, Bonaccini raccoglie il 51,42 contro il 43,63 per cento della candidata leghista Lucia Borgonzoni. Il presidente uscente, quello stesso che gli ultimi sondaggi avevano dato a rischio sconfitta, è riuscito quindi a raccogliere oltre un voto su due. Un risultato arrivato anche grazie all’alta affluenza, in particolare nelle principali città e nelle roccaforti del centrosinistra in Regione. Crollo senza precedenti per i 5 stelle: Simone Benini si ferma al 3,48%. Il M5s ha sicuramente sofferto il voto disgiunto, ma essere sotto al 5 per cento di voti alla lista è una botta da cui a fatica potrà risollevarsi. Per quanto riguarda le liste il Pd è al 34,6 per cento, la Lega al 31,9%. Da segnalare anche Fratelli d’Italia all’8,6 e Forza Italia che crolla al 2,56 per cento. La coalizione del centrosinistra è al 48,1% contro il 45,4% del centrodestra. “Io non ho perso tempo a suonare i campanelli ma sono andato a parlare con le imprese, con le persone e provare a dire che Emilia Romagna volevo”, è stato il primo commento di Bonaccini riferendosi alla provocazione del leader della Lega nel quartiere Pilastro di Bologna. E, proprio come il segretario Nicola Zingaretti, il primo pensiero è stato per il movimento delle Sardine: “Io non sono mai andato nelle piazze delle Sardine e non ho mai parlato nemmeno al telefono con Mattia Santori perché volevo rispettarli e non sembrare di mettere il cappello su nessuno. Ma nelle loro piazze ho sentito risuonare parole molto simili alle mie e soprattutto hanno dimostrato che c’è tanta gente che non vuole una politica fatta di odio, di rabbia, di rancore”.
In Calabria fin dai primi exit poll è subito stato evidente che la vittoria della candidata del centrodestra Jole Santelli fosse scontata. Qui la partita non c’è mai stata davvero. La berlusconiana ha ottenuto il 55,4% dei consensi battendo il candidato del centrosinistra Pippo Callipo (30%). Terzo il candidato dei 5 stelle Francesco Aiello (7,3%), appena sopra il civico Carlo Tansi che ha raccolto il 7,1 per cento delle preferenze. Anche le liste danno un segnale importante: Forza Italia è sopra (di poco) al Carroccio raggiungendo l’12,44 per cento dei consensi e Fratelli d’Italia all’10,8. Il primo partito è il Pd con il 15,1% delle preferenze. Il Movimento 5 stelle come lista prende solo il 6,2 per cento.
La Lega non sfonda: fallita la spallata al governo di Salvini
La conquista di Roma passando per l’Emilia-Romagna non è riuscita a Matteo Salvini. Eppure la campagna iniziata il 14 novembre al PalaDozza di Bologna è stata studiata nei minimi dettagli perché per la Lega l’occasione era unica. Il leader leghista si è presentato nel comitato elettorale poco prima della chiusura delle urne e ha deciso di parlare per primo: ore 23,30, quando ancora exit poll e prime proiezioni sembravano dare un testa a testa che di fatto non c’è mai stato. Si è presentato davanti ai microfoni quando ancora la situazione era così confusa da non dover mettere la faccia sulla sconfitta: ha esultato per la vittoria di Jole Santelli in Calabria e ha “ringraziato per la partecipazione”, dicendo che già solo il fatto che in Emilia “ci sia stata una partita aperta”, per lui è “un’emozione”. Quando poi tre ore dopo sono arrivati i primi risultati reali però, a commentare il voto è stata mandata la candidata Lucia Borgonzoni, questa volta sì, da sola: “Per la prima volta la Regione è stata contendibile”, si è limitata a dire. Per la prima volta dopo mesi di campagna in ombra dietro il suo leader, era sola a parlare di una sconfitta. Non aveva torto: in oltre 70 anni il centrosinistra non ha mai perso le elezioni Regionali e mai come in questa tornata ha temuto di perdere il governo locale. Eppure la voglia di “cambiare”, il grande slogan della campagna leghista, non è stata sufficiente per dare la vittoria a Salvini e i suoi. La Lega ha perso voti rispetto alle scorse Europee (33,8%) e addirittura, nonostante tutti i sondaggi dicessero il contrario, non ha superato il Partito democratico. Solo Piacenza, Ferrara e Rimini le province dove Borgonzoni è avanti. Inoltre, anche questo dato è interessante da segnalare, la candidata presidente ha preso meno voti della coalizione, segno che qualcuno anche a destra ha scelto il voto disgiunto.
Pd primo partito, Zingaretti: “Dato straordinario dopo due scissioni”
In tempi di magra già reggere in Emilia sarebbe di gran lunga bastato per i dem. Alla luce dei sondaggi delle ultime settimane, anche solo riuscire a resistere di fronte a una coalizione del centrodestra che sembrava mastodontica e imbattibile. Poche ore dopo la chiusura dei seggi, il risultato ha superato tutte le aspettative. In Emilia-Romagna il Pd è primo partito, anche se di poco, al 34,6% davanti alla Lega al 31,9%. Quindi in crescita rispetto alle Europee, quando prese il 31%. Senza considerare che la lista Bonaccini presidente vicina al 6 (5,7 per cento) ed Emilia Romagna Coraggiosa (Elly Schlein, Pierluigi Bersani, Vasco Errani) al 3,7% che sono comunque da considerare nell’ambito della coalizione di centrosinistra. Anche in Calabria, dove comunque il centrosinistra perde le elezioni, il Pd con un debole 15,1 per cento è comunque primo partito. Senza contare i luoghi simbolo: a Bibbiano, dove il sindaco Pd è indagato nell’ambito dell’inchiesta sui presunti affidi illeciti, Bonaccini vince e i dem superano il 40%. Sono segnali, che arrivano da Bologna e dintorni soprattutto, e dai quali potrebbe partire il progetto di “rifondazione” di tutto un partito. Così come il segretario Nicola Zingaretti ha già lasciato intendere nelle scorse settimane. Solo che ora può esserci la spinta giusta. Intanto lui è uscito a dichiarare ancora prima del candidato Bonaccini, intorno all’una di notte: “Il dato Pd è straordinario”, ha detto parlando dal Nazareno, “anche perché intanto abbiamo subito due scissioni: il Pd è là, grazie alla fiducia dei cittadini. Non si può che esprimere una grande soddisfazione per questo paese”. Se si pensa alla foto di Narni dell’autunno scorso, il famoso e sfortunato scatto prima della sconfitta in Umbria, sembrano già passate due ere politiche. Addirittura il segretario Pd si è spinto oltre: ha ringraziato il movimento delle “sardine” per la spinta e l’aiuto dato in questi mesi. E ha lanciato un messaggio ai colleghi di governo M5s: “Si sta tornando a un sistema bipolare tra due grandi campi che si contendono la leadership e lo fanno su scelte politiche alternative”. I 5 stelle, “ne prendano atto”.
L’effetto Sardine e la partecipazione
L’affluenza è stata l’altra grande protagonista di questa tornata elettorale. Se in Calabria è stata stabile al 44,32% dei votanti contro il 44,16 per cento dell’elezione precedente, in Emilia-Romagna ha toccato quota 67,6% degli aventi diritto al voto: un risultato di poco più alto delle scorse Europee (67,3) e da record rispetto alle Regionali del 2014 quando andò a votare solo il 37,76 per cento degli elettori. La partecipazione ha fatto la differenza nella partita emiliano-romagnola: in quella disaffezione si è inserito il movimento spontaneo delle sardine che, di fatto, è stato tra i protagonisti della campagna elettorale. Nati il 14 novembre in contemporanea all’apertura della campagna elettorale del PalaDozza a Bologna, sono stati gli unici e i primi a riuscire a contendere la scena a Matteo Salvini. Sono stati loro, i quattro ragazzi di Bologna che hanno lanciato un flash mob quasi per caso, a far capire che battere Salvini sul suo campo mediatico era possibile. Non solo hanno riempito le piazze, ribaltando la narrazione secondo cui solo il leader del Carroccio riusciva a farlo, ma hanno riempito i suoi stessi spazi contestandolo in concomitanza della maggior parte dei comizi. Hanno riempito piazza Maggiore a Bologna, aprendo la strada a uno dei primi comizi di piazza di Bonaccini dopo anni di palazzetti, ma non solo: si sono presentati a Bibbiano, la piazza più strumentalizzata d’Italia. Sono stati là dove i partiti non sono riusciti a essere senza strumentalizzare e proprio lì, alla vigilia del voto, hanno iniziato a mostrare che il racconto salviniano scricchiolava. Mentre nessuno osava sbilanciarsi, per loro hanno parlato le ultime piazze: quella di Salvini mezza vuota e senza simboli, quella delle sardine piena quasi come alla prima convocazione.
Il crollo e il punto di non ritorno per i 5 stelle
Entrambi i candidati M5s, Simone Benini al Nord e Francesco Aiello al Sud, si sono presentati davanti alle telecamere a dire che, in sintesi, “sarebbe potuto andare peggio”. Per loro, candidati mollati dal leader nazionale alla loro sorte, sicuramente. Ma non per un Movimento 5 stelle che nel 2018 era primo partito d’Italia con il 32 per cento dei consensi e che oggi, praticamente, sparisce dai territori. In Emilia-Romagna è al 4,7 la lista e sotto il 4 il candidato presidente: e, tanto per capire quanto sono dati che lasciano senza parole attivisti e portavoce, lì nel 2010 il primo candidato M5s alla Regione Giovanni Favia prese il 6 per cento. È chiaro che la botta si farà sentire. In Calabria non si aspettavano molto, con un candidato finito al centro delle polemiche per il cugino affiliato alla ‘ndrangheta e mollato da metà dirigenti M5s, ma nemmeno di arrivare addirittura quarti dietro il candidato della lista civica. In attesa dei risultati definitivi, rischiano di non riuscire a entrare nemmeno in consiglio regionale. Non è un caso che il capo politico Luigi Di Maio, contrario fin dall’inizio alla corsa nelle due Regioni, abbia deciso di dimettersi proprio pochi giorni prima del risultato. Ma di fatto il leader ha mollato i suoi nel momento più difficile.
Crimi: “Risultati inferiori ad aspettative, restare uniti”
È toccato al reggente Vito Crimi dover spiegare come sono evaporati i consensi degli elettori 5 stelle dalle elezioni politiche a oggi. E soprattutto cosa si intende fare di fronte a una crisi così profonda. La sua prima reazione è stato un riconoscimento che “i risultati sono stati inferiori alle aspettative”. La performance, ha specificato ricordando come il voto alle Regionali è sempre stato non in linea con le Politiche, “però non ci induce ad arrenderci: semmai è vero il contrario. Abbiamo già avviato il lavoro di organizzazione che ci consentirà un maggiore coordinamento”, scrive Crimi sostenendo che sarà necessario “restare uniti, non lasciarsi irretire da facili sirene”. “Ogni volta che un risultato elettorale non ci sorride – aggiunge – sento partire il solito coro che scandisce all’unisono: il Movimento è finito, è in ginocchio, sta scomparendo. In più, questa volta, viene dato per scontato il ritorno del bipolarismo, come se le elezioni in due regioni equivalessero al voto nazionale”.
Cosa succede nel governo
Il governo tira un sospiro di sollievo. Forse il primo in assoluto da quando è nata la nuova coalizione che ha dato vita al Conte 2. Perché, anche se pure con la vittoria di Salvini sarebbe stato difficile veder crollare l’esecutivo, di sicuro le opposizioni sarebbero state più difficili da gestire. Il presidente del Consiglio, già dopo i primi risultati, ha fatto sapere che al più presto lavoreranno per il nuovo programma: l’aggiornamento del “non contratto” era stato proprio rimandato a dopo le Regionali, in attesa di capire se sarebbe stato un piano pre-elezioni o studiato per durare. La seconda: il premier ha in mano la carta per arrivare a fine legislatura. Quello che cambia ora è piuttosto l’equilibrio delle forze dentro l’esecutivo: non si è più davanti a un Pd morente alleato di un M5s primo partito col 32 per cento. Piuttosto siamo davanti a una situazione quasi ribaltata. Certo non può bastare un voto regionale a decretare la fine di un movimento, ma il M5s sa che deve ripartire da zero per non morire davvero. Come si aggiusteranno i rapporti di forza? “Non vogliamo posti, ma temi”, ha commentato il vicesegretario Pd Andrea Orlando. Ecco, se pensare a un rimpasto potrebbe essere complicato, più facile sarà per i dem chiedere di dettare l’agenda. Partendo magari da argomenti delicati e finora rimandati come, ad esempio, la modifica dei decreti Sicurezza. Ma anche dalla discussione sulla legge elettorale che, alla luce dei risultati, potrebbe essere riaperta. Le prossime ore chiariranno come intendono muoversi le diverse parti e se non altro per qualche giorno sentiranno meno il fiato sul collo di Matteo Salvini. Che comunque, non dimentichiamolo, non ha vinto ma ha tenuto la Lega ampiamente sopra al 30 per cento in Emilia. “Prosegue l’azione di rilancio del Paese“, si sono affrettati a far sapere da Palazzo Chigi. Almeno per Conte e Zingaretti il cammino ora è segnato. In attesa di capire chi sarà e cosa vuole fare il nuovo leader M5s.