È passato un anno e mezzo, infatti, da quando si è concluso il troncone del processo contro la cosca Mancuso che si è celebrato con il rito abbreviato. Da allora (era 31 luglio 2018), il giudice per l'udienza preliminare Pietro Caré non è riuscito a scrivere la sentenza con la quale aveva condannato i vertici della famiglia mafiosa di Limbadi e i boss delle cosche alleate che erano stati arrestati nell’aprile 2016.
La sentenza del processo “Costa Pulita” non è stata ancora depositata e cinque imputati condannati per mafia sono stati scarcerati per decorrenza termini. È passato un anno e mezzo, infatti, da quando si è concluso il troncone del processo contro la cosca Mancuso che si è celebrato con il rito abbreviato. Da allora (era 31 luglio 2018), il giudice per l’udienza preliminare di Catanzaro Pietro Caré non è riuscito a scrivere la sentenza con la quale aveva condannato i vertici della famiglia mafiosa di Limbadi e i boss delle cosche alleate che erano stati arrestati nell’aprile 2016.
Per questo motivo, su richiesta degli avvocati, lo stesso gup ha disposto l’immediata scarcerazione di Pasquale Prossomariti (condannato a 7 anni di carcere), Giancarlo Lo Iacono (8 anni) e i presunti boss Leonardo Melluso (10 anni) e Carmine il Grande (10 anni). Per tutti e quattro si sono spalancate le porte del carcere e sono sottoposti al divieto di dimora. Ha lasciato gli arresti domiciliari anche Salvatore Muzzopappa che era stato condannato a 6 anni di reclusione per concorso esterno con la ‘ndrangheta.
Cognato del boss Pantaleone Mancuso detto “Luni Scarpuni”, infatti, Muzzopappa sarebbe stato anche a sua disposizione. Aveva il compito, stando all’inchiesta della Dda di Catanzaro, di controllare e bonificare da eventuali microspie il “bar Tony” dove il boss aveva una sorta di “ufficio” dove era solito incontrare gli uomini del clan. Secondo i pm, infatti, Muzzupappa si occupava di ricevere i soggetti che “andranno a colloquiare con il Mancuso” e aveva il compito di individuare “l’esistenza di eventuali microspie”. Nel fascicolo del processo sono finite anche le sue foto mentre utilizzava uno strumento elettronico per trovare le cimici che la Dda aveva piazzato all’interno del bar “Tony”.
Pasquale Prossomariti, invece, secondo i pm erano partecipi della cosca Mancuso per la quale si occupava dei messaggi indirizzati al boss “Luni Scarpuni” per quanto riguarda la zona di Tropea e Ricadi. Messaggi che, per gli inquirenti, riguardavano anche una serie di estorsioni ad alcuni imprenditori campani. In sostanza, Prossomariti era l’ “ambasciatore” delle pretese e dei messaggi di Pantaleone Mancuso, un ruolo che, scrive la Dda, “ha esplicato ‘diligentemente’ e ‘professionalmente’ in modo non occasionale”.
Più o meno lo stesso compito che aveva Giancarlo Lo Iacono che, però, era accusato anche di alcune detenzioni di armi. Leonardo Melluso, invece, è un boss che faceva parte della cosca Accorinti, federata con i Mancuso. Condannato a 10 anni, oggi si trova libero però, stando alle carte dell’inchiesta “Costa Pulita”, Melluso era il “co-reggente” dell’organizzazione mafiosa. Secondo i pm, inoltre, era lui che gestiva “una serie di cooperative di servizi operanti nel nord Italia”, a Gorgonzola in provincia di Milano. Partecipava, infine, “alle attività di ripartizione di lavori edili, oltre che alla ripartizione degli utili delle attività illecite della cosca”, corrispondendo la “sua parte” al boss Pantaleone Mancuso.
Per comprendere il calibro di Leonardo Melluso detto “Dino” è sufficiente ricordare che, nel 2003, ha partecipato a un summit di ‘ndrangheta avvenuto in un agriturismo a Serra San Bruno dove i Mancuso si sono incontrati con gli Accorinti ma anche con Carmelo Novella detto “Nunzio”, il “capo della Lombardia” ucciso cinque anni dopo a San Vittore Olona. Condannato a 10 anni di carcere, Carmine Il Grande viene definito “esponente di spicco dell’omonima consorteria criminale operante su Parghelia”.
A capo di una numerosa famiglia, nella sua zona era il referente della cosca Mancuso “in qualità di partecipe operativo, – è scritto nel capo di imputazione – con compiti diretti relativi a delitti di estorsioni, minacce, danneggiamenti e reati inerenti le armi”. Nonostante questo e nonostante i buoni rapporti con Cosmo Mancuso, dalle carte dell’inchiesta “Costa Pulita” emerge che il boss Pantaleone Mancuso stava progettando di ucciderlo “per questioni riguardanti il controllo del territorio nel Comune di Parghelia”. In sostanza, secondo “Luni Scarpuni”, Carmine Il Grande era “colpevole” di alcune intimidazioni ed estorsioni ad aziende che godevano della protezione dei Mancuso.
A parte il divieto di dimora, per alcuni degli imputati, Carmine Il Grande, Leonardo Melluso, Giancarlo Lo Iacono, Pasquale Prossomariti e Salvatore Muzzupappa sono liberi in attesa del processo d’appello che, per essere fissato, bisognerà aspettare il deposito della sentenza di primo grado e gli eventuali ricorsi degli imputati e della Dda di Catanzaro.