Altro che fascino discreto della borghesia. Lì dove vero e verosimile s’intrecciano fino a sovrapporsi e dove la realtà si trasforma in commedia, ecco materializzarsi le sei surreali casalinghe – molto feroci e poco disperate – protagoniste di The real housewives di Napoli, il nuovo reality di Real Time, partito il 25 gennaio (in onda il venerdì, in seconda serata). Avete presente la Posillipo ovattata dove va a vivere Andrea, il padre di Giovanna, la protagonista de La vita bugiarda degli adulti, l’ultimo romanzo di Elena Ferrante? Bene, dimenticatela. Perché in The real housewives a dominare sono tutte le sfumature dell’esagerazione, dell’eccesso e del lusso ostentato (o millantato, chissà) in una Napoli che diventa inaspettato palcoscenico dove giocare con l’effimero e portarlo all’estremo fino al cafonal. Proprio come accade nel format internazionale, che conta tredici edizioni in tutto il mondo. Solo che nella versione italiana le sciure benestanti scorrazzano tra Chiaia e Posillipo e non tra le colline di Beverly Hills e al posto di Yolanda Hadid (la milionaria mamma delle super modelle Gigi e Bella), c’è Noemi Letizia, già star del programma ancora prima di andare in onda.
E tale si conferma nelle prime due puntate del reality, l’antipasto funzionale a inquadrare le protagoniste e pregustare le future liti, solide fondamenta dello show assieme al montaggio (serrato e curatissimo, e qui si sente il tocco di Fatma Ruffini, la produttrice per decenni firma dei programmi di punta di Mediaset) e al casting (perfetto). «In The real housewives voglio mostrare chi è la vera Noemi Letizia», dice nel confessionale di presentazione, cedendo quasi subito alle lacrime. Per ora di lei si capisce poco, se non che si è imborghesita passando in una decade dal festone per i 18 anni in provincia, a Casoria, con Berlusconi come guest star (capitolo mai citato, nemmeno per sbaglio), all’appartamento con marito agèe e servitù ispanica. Noemi ci tiene a scrollarsi di dosso l’etichetta di “papi girl”, ammette di essersi pentita del ritocco alle labbra e da mamma con inclinazioni fashioniste punta a realizzarsi nel settore beauty, tanto che vola nella prestigiosa scuola di Grasse per creare il suo profumo ma l’insegnante parla inglese e lei annaspa vistosamente. A sorpresa, la salva l’autoironia.
Il resto del cast? Poco chic e molto choc. C’è Daniela Sabella, giornalista attiva nel sociale e nelle pr, con look tendenza Barbie e allergia alle periferie (per lei tutto ciò che va oltre la ztl). Poi c’è la spruzzata di sangue blu con Maria Consiglio Visco Marigliano del Monte, duchessa e autrice di un romanzo erotico, costantemente in bilico tra il parlare male delle altre e il rimarcare senza sosta il suo blasone e i suoi averi (chissà come sarebbe inorridita l’iconica Marella Caracciolo Agnelli). E ancora Simonetta De Luca, psicologa ma anche stilista e networker del benessere (qualunque cosa voglia dire), che si autoproclama «la queen» ma finisce per incarnare dal minuto zero l’antipatica del gruppo. E ci riesce benissimo. Poi c’è Stella Giannicola, titolare di un centro estetico, che esibisce ciglia finte in abbondanza, forme prosperose («è grassa», sentenzia cattivissima Maria Consiglio) e presunte frequentazioni da jet setter. «Riccardo Tisci, con cui faccio il Gay Pride, mi ha presentato Madonna», azzarda sorseggiando champagne. «Lei e Maria Consiglio sono due megalomani», replica implacabile l’ultima casalinga, Raffaella Siervo, discendente di una famiglia di commercianti di perle e coralli, subito stroncata dalle altre arpie: «Oggi abbiamo visto due rovine, Ercolano e Raffaella».
In questo gioco delle parti, la Siervo si ritaglia il ruolo del jolly: è la più vera del gruppo – nel senso che non è mai ricorsa alla chirurgia plastica – e a lei è affidato il controcanto, in un racconto in cui domina asfissiante un birignao di sottofondo tra “amore”, “tesoro”, “ti lovvo”, “texture”, “top” e “queen”. Perché sarà pure l’upper class posillipina ma il rischio omologazione è dietro l’angolo. A partire dai connotati estetici: le signore sfoggiano senza pudore i danni del ritocco a tutti i costi, labbra a canotto, zigomi ferilleschi, pelli smaltate a lucido da filler e botulino, chilate di extension alle ciglia. «Che volgarità le ciglia finte su una donna sopra i 40 anni», si lascia scappare Raffaella. Fosse solo quello. Ma così facendo, in un curioso gioco di rimandi con altri due programmi cult di Real Time, le casalinghe napoletane rischiano di sembrare appena uscite dal salone di Federico Fashion Style o pronte per un matrimonio al Castello delle cerimonie. Solo con più soldi e con un coté più mondano, di quella mondanità alla Sorrentino de La grande bellezza (vedi l’esageratissima festa Limitless, in scena nella terza puntata).
Se il reality avesse un sottotitolo, sarebbe senza dubbi «Pailettes a colazione» – no, gli smeraldi a colazione di Marta Marzotto stanno decisamente su un altro piano – perché le pailettes sono uno dei trait d’union che lega le ferocissime «scugnizze patinate», oltre allo shopping compulsivo, ai ritocchini e alla passione per il lusso. Quale direzione prenderà il racconto? Facile pensare ad un fitto intreccio di liti, feste esclusive in ville inaccessibili, pranzi riconciliatori, giri in auto o in barca, mondanità sfrenata, eternamente in bilico tra trash e disimpegno. Niente di nuovo, insomma, per chi ha visto la prima e unica stagione di Lucky Ladies, andato in onda qualche anno fa su Fox Life: ambientato sempre a Napoli, aveva come voce narrante l’indimenticabile Alessandra Rubinacci, erede dell’iconica sartoria napoletana, che di questa nuova produzione è la casting director. Che cosa manca rispetto a Lucky Ladies? Proprio la voce narrante, che sapeva bilanciare con l’ironia l’eccesso di farsa.
Sarà un cult? È presto per dirlo. Per ora l’“ostento dunque sono” domina su tutto: è questo il gioco ed è inutile domandarsi dove inizi la realtà e dove finisca la recita. Potrebbe essere tutto vero – in un flusso ininterrotto di surreale (niente a che vedere col surrealismo di Buñuel) che sfocia nel cinepanettone – o tranquillamente scritto e artefatto. Poco importa, perché la tv ha un copione anche quando il copione non c’è.