Le foto che stende sul tavolo sono in bianco e nero. A parte una, quella in cui consegna la stola che ha fatto con le sue mani a Papa Francesco. Ha voluto ricamarci sopra “Amor mi muove”, la scritta sul pulmino con cui don Arrigo Beccari raccoglieva i ragazzi in campagna per portarli a scuola a Rubbiara, nel Modenese. Anna Maria Montanari Campana, che lì ci ha insegnato per cinque anni, oggi ha 89 anni: ha iniziato quando ne aveva 29 e, durante gli anni del servizio, ha vissuto in canonica insieme al don che la chiamava “signorina” e al padre del parroco, che “non faceva mai mancare i fagioli e le patate bollite”. Molto del resto era affidato alla provvidenza: il cibo in primis, perché “i bambini rimanevano anche alla mensa, e potevano mangiare una buona minestra”. E’ qui, in queste strutture tra la canonica e il seminario, che don Arrigo insieme ai suoi collaboratori riuscì a salvare decine di ragazzini ebrei: travestendoli da seminaristi o novizie, stampando clandestinamente documenti per spedirli in Svizzera e da lì in Israele.
“Noi prof, laureati o studenti con voglia di fare, eravamo invogliato dallo spirito umanitario, guadagnavamo poco. Però potevo accumulare punteggio”, racconta, cercando di ripescare i ricordi nel tempo e di sintetizzare cinque anni che hanno cambiato la sua vita e quella di chi da quella scuola ci è passato. Accudiva i bambini della materna che il don aveva voluto aprire (“altrimenti venivano lasciati in campagna a fare niente, abbandonati, mentre i genitori lavoravano”) e insegnava stenodattilografia agli studenti dell’avviamento.
È stato un prete coi fatti. Il passato, per noi che siamo passati da Rubbiara, è lui
Tre classi “con una trentina di allievi l’una. Per loro don Arrigo non era solo un maestro, ma un padre. E lo è stato anche per me”. L’innovazione che il prete scampato alla condanna a morte ha portato dentro quella scuola era straordinaria, per i tempi e per il territorio: “È stato lui che si è inventato il tempo pieno a scuola – ci tiene a dire Anna Maria -, perché il pomeriggio non era fatto di doposcuola. Voleva che i ragazzi dedicassero tempo alle arti: alla pittura, alla ceramica, alla soffiatura del vetro, alla danza e al teatro. Aveva anche comprato il forno per cuocere le mattonelle”. Arti che venivano insegnate “da persone competenti, che lui andava a cercare. Per la pittura delle mattonelle aveva addirittura chiamato un maestro da Faenza, che era rimasto tutto l’inverno. Era da pagare, eppure lui trovava i soldi”.
Quello che lo aveva portato ad aprire quella scuola era “il bisogno di istruzione del popolo, che all’epoca erano le parrocchie le prime a cogliere. Don Arrigo aveva trovato una situazione di ignoranza spaventosa a Rubbiara. Con la scuola voleva rispondere ai bisogni della gente, ma non c’era solo l’istruzione. “Facevamo delle riunioni per capire di cosa ci fosse bisogno. Un problema grande era l’elettricità che non c’era. Quindi ha fatto in modo di portarla nelle case. Lo aiutavano tutti don Arrigo, anche chi non andava in chiesa. Faceva anche la manutenzione dell’asfalto della strada e del cortile, o rompeva le scatole perché il comune rispondesse ai bisogni della gente. Per sé non teneva niente: si faceva dare le tonache dismesse del prete di Redù (una frazione di Nonantola, ndr) per usarle come cambi, il suo stipendio lo dava tutto alla scuola. E quando è andato in Israele, dove lo avevano invitato, abbiamo dovuto fargli un vestito dal sarto perché non aveva niente di decente”.
Facevamo delle riunioni per capire di cosa ci fosse bisogno. L’elettricità nelle case non c’era, e lui ha fatto in modo di portarcela
La scuola aveva ricevuto anche i complimenti dell’ispettore ministeriale, colpito da tutte quelle attività. Non c’era solo l’insegnamento, ma anche “il fatto di imparare a stare con gli altri, a confrontarsi, a lavorare”. E la scoperta della bellezza della musica, della recitazione e delle arti, della curiosità del mondo: amante della natura, portava i suoi ragazzi sull’appennino modenese, a Piane di Mocogno, in una casa che aveva costruito per loro. E poi in gita al teatro comunale di Modena, alla Ferrari di Maranello, rappresentazioni nel teatrino della scuola che includevano anche l’opera. Luoghi e cose che se lui non ci fosse stato, quei ragazzi non avrebbero mai vissuto. Usava il gioco per stimolare la socialità e l’inclusione per appianare i conflitti. In particolare quelli tra ragazzi e ragazze: per risolverli don Arrigo aveva deciso di mettere per ogni banco un maschio e una femmina, che in coppia, in base ai turni, si occupavano anche anche della pulizia di aule, bagni e atrio. Tutti facevano qualcosa, tutti si aiutavano.
Dopo la visita alla redazione del Resto del Carlino di Bologna, nella scuola era stata avviata anche la rivista mensile “Il Rubbiarino”, fatta dai ragazzi – che così miglioravano in italiano – e venduta a 50 lire a copie. Il ricavato serviva per realizzare il numero successivo. “I ragazzi dovevano imparare vedendo cose belle – ricorda Anna Maria -. Lui aveva una grande passione per l’uomo, per l’uomo che cresce, che impara o che lavora in campagna. Si divertiva molto a studiare il carattere degli studenti, e amava gli animali. Avevamo una capra, la Malvina, che era come un cagnolino: ci seguiva sempre, voleva stare in mezzo ai bambini e quando li sentiva vociare in lontananza, belava. La portavamo anche con noi in gita in montagna. Poi c’era la cagnolina, Federica, e il gatto, Adolfo, per via dei baffetti”.
I ragazzi dovevano imparare vedendo cose belle. Lui aveva una grande passione per l’uomo che cresce, impara o lavora in campagna
Della vicenda di Villa Emma parlava coi ragazzi, ma senza mai vantarsene. “Tutti sapevamo cosa aveva fatto, ma raccontava con discrezione”. Non considerava mai se stesso il centro, ma la scuola sì: in canonica, che fino a mezzanotte restava sempre aperta, aveva voluto un centro di lettura, dove i libri a disposizione erano i suoi. “Era un grande lettore. Mi diceva: signorina, legga. E mi passava i libri che aveva finito e gli erano piaciuti. L’ultimo è stato un tomo sulla vita di Stalin”. Il destino finale della scuola di Rubbiara è scritto su una targa, sulla soglia: “Morì di morte naturale dopo vent’anni di servizio popolare” il 25 giugno 1970, a sette anni dalla nascita in Italia della scuola media unica che va a sostituire scuola media classica, avviamento professionale, corsi post elementari. “I ragazzi che hanno frequentato la scuola hanno colto in pieno il suo spirito, sembrano i figli di Don Arrigo. La sua impronta si vede in tutti, che vadano in chiesa o meno. È stato un prete coi fatti. Il passato, per noi che siamo passati da Rubbiara, è lui”.
(Anna Maria ha regalato la stola a Papa Francesco a luglio 2019, accompagnata da don Mattia Ferrari, il cappellano di Nonantola che si è imbarcato volontario sulla nave Mare Jonio della ong Mediterranea)