“Lo sterminio dei disabili nella Germania nazista non fu l’ennesimo crimine commesso dal regime, fu il primo. Prima degli ebrei, prima degli oppositori, e degli omosessuali, la Germania dichiarò guerra alla parte malata di sé“. Tra meccanismi di propaganda e disuguaglianze, al Palazzo Ducale di Genova Mario Paolini – pedagogista e formatore che ha studiato a fondo una delle pagine più oscure della storia del Novecento – ha offerto spunti di riflessione su come sia stato possibile che l’opinione pubblica del tempo arrivò ad accettare un orrore di questo tipo. Nell’ambito delle celebrazioni del mese della Giornata della Memoria, l’iniziativa è stata voluta da Fondazione San Marcellino e Università di Genova, con il patrocinio dell’Associazione Nazionale Ex Deportati Nei Campi Nazisti “per affrontare le logiche dell’ineguaglianza e della propaganda e i mostri che queste possono generare”. L’uccisione sistematica dei disabili faceva parte del progetto T4 e portò a oltre 200mila vittime tra le quali si stima circa 5mila bambini, sui quali vennero condotti esperimenti prima dell’uccisione.
“Quello che oggi fa più riflettere – sottolinea Paolini – è come questo programma non sia stato portato avanti da militari o pattuglie di SS, bensì da medici, infermieri, educatori, persone ’normali’ come potremmo essere noi”. Lo sterminio dei disabili avvenne prevalentemente in Germania ma non risparmiò i paesi occupati e l’Italia, dove dopo l’otto settembre del 1943, i fascisti della Repubblica Sociale consegnarono alla deportazione le persone internate negli ospedali psichiatrici di Trieste, Treviso e Venezia. “Eppure con troppa leggerezza sorvoliamo e dimentichiamo le nefandezze compiute dai nostri ’nonni’ – sottolinea Paolini – mentre in Germania oggi non diventi medico o infermiere se non fai un esame su questa vicenda, e ci sono strade e piazza intitolate a storie come quella di Ernst Lossa, ucciso a 14 anni con due iniezioni letali nell’ambito del programma di sterminio”