Anche sforzandosi, non è facile. Intendo comprendere quanto debba essere insoddisfacente la vita di chi dedica a Nicolò Zaniolo, vent’anni, lo striscione di una carrozzina per alludere al suo infortunio tremendo. Oppure capire come può Napoli luminosa accettare che la sua parte più ricurva vomiti ininterrottamente bile e ignoranza su chi ha scelto di andare a lavorare – perché di questo si tratta, di lavoro – altrove, come hanno fatto Maurizio Sarri o Gonzalo Higuain. O che lo stesso accada nella sobria Torino con Antonio Conte.
Uno schifo abitudinario, stagnante, lecito. Agli ultras è concesso fare del razzismo più gutturale un coro, agli ultras è concesso augurare la leucemia a Sinisa Mihajlovic per le sue idee politiche.
Uomini piccoli, che nel calcio trovano sfogo alle frustrazioni abbondanti, nel gruppo l’identità che balbettano, nella curva la loro porcilaia.
Ma non è l’unica cosa che, anche sforzandosi, si fatica a comprendere. L’altra, ancora più incredibile, è come possa tutto ciò essere tollerato. Come possono uno Stato intero, i milioni di amanti del calcio, i professionisti del pallone, tutti i governi che rotolano l’uno dietro l’altro e soprattutto gli stessi ultras dotati di buonsenso accettare questa vergogna. Nessun intervento netto, nessuna legge veramente risolutiva, nessuna pena puntuale per ogni singolo, stupido colpevole nonostante le curve siano gonfie di telecamere e i biglietti nominali. Afferrarli per il colletto e cacciarli via: no, al massimo prese di distanza isolate, e per questo sconfortanti.
Gli impianti vecchi, la comodità delle pay-tv, i prezzi dei biglietti: ipotesi del perché stranamente la gente si allontani dallo stadio; come se non fosse lampante lo sporco che si annida nelle sue parti curve. Ultras talmente intoccabili da arrogarsi il diritto a considerarsi l’unico vero tifo. Che poi, guarda caso, è anche il nome di una malattia.