Il governo scioglie finalmente le riserve sui nuovi vertici delle agenzie fiscali. Con tanto di colpo di scena finale: se all’Agenzia delle Entrate tornerà come da indiscrezioni Enrico Maria Ruffini, le altre due nomine decise lunedì pomeriggio dal consiglio dei ministri sono invertite rispetto alle ipotesi della scorsa settimana. Al Demanio arriva infatti il funzionario di palazzo Chigi Antonio Agostini, attualmente incaricato dell’ufficio di segretariato del Cipe. Mentre il direttore dell’ufficio Analisi quantitative della Consob Marcello Minenna, che era dato in corsa per il Demanio, va a guidare l’Agenzia delle Dogane e Monopoli. Dopo l’infornata di fine novembre in Cassa depositi e prestiti, il prossimo appuntamento ora è quello di marzo con i rinnovi dei consigli delle partecipate del Tesoro.
Ruffini, vicino a Matteo Renzi, era stato nominato direttore dell’Agenzia delle Entrate nel 2017, ma il governo giallo-verde l’aveva sostituito. Da tempo si parlava della possibilità di un suo rientro all’Agenzia, ma il suo nome non era visto di buon occhio dal Movimento 5 Stelle che non gradiva la sua vicinanza al leader di Italia Viva. Dopo un lungo braccio di ferro, il manager è riuscito a spuntarla per tornare a un incarico particolarmente delicato: l’Agenzia è infatti uno dei pilastri del programma governativo di recupero di denaro dall’evasione fiscale. Denaro sostanziale per mantenere gli impegni presi con Bruxelles sui conti pubblici.
Alle Dogane approda invece Minenna, master in matematica finanziaria alla Columbia university e Ph.d all’università degli studi di Brescia, che nel 2016 è stato assessore al Bilancio nella giunta di Virginia Raggi e un anno fa è stato anche in corsa per la presidenza dell’autorità di vigilanza sui mercati dove lavora dal 1996. Su quella poltrona si sarebbe poi insediato l’ex ministro Paolo Savona.
Chiuso il capitolo delle Agenzie fiscali, l’esecutivo dovrà ora occuparsi delle tre autorità di vigilanza che da tempo attendono i nuovi vertici: Anticorruzione, Privacy e Agcom. Da tre mesi ormai l’anticorruzione è guidata dal consigliere anziano Francesco Merloni che sta sostituendo il dimissionario Raffaele Cantone, mentre i consigli di Privacy e Agcom, scaduti in estate, sono stati rinnovati per due volte fino al 31 marzo 2020. All’Agcom, in particolare, il futuro consiglio dovrà anche nominare il nuovo segretario generale visto che a dicembre è scaduto il mandato di Riccardo Capecchi, ex tesoriere del think tank Vedrò di Enrico Letta. Con ogni probabilità il Parlamento dovrebbe votare su Privacy e Agcom il prossimo 18 febbraio.
Infine, l’esecutivo dovrà mettere mano alle poltrone delle partecipate pubbliche: con le assemblee di bilancio 2019 scadono infatti i consigli di amministrazione di Enel, Eni, Poste, Finmeccanica e Terna. Il numero uno di Enel, Francesco Starace, confida in un rinnovo. Ma potrebbe giocare contro la sua posizione sulla controllata Open Fiber. La rivale Tim, di cui è socio Cdp, vorrebbe acquisirla, ma Starace non ha intenzione di vendere. Se non ad una cifra più che congrua. Un discorso logico per l’ad di Enel, ma che di fatto ha generato uno stallo sulla partita per la costruzione della rete a banda ultralarga. Per questa ragione, Starace potrebbe andare all’Eni, sostituendo Claudio Descalzi che non piace ai 5 Stelle, mentre al suo posto potrebbe andare Stefano Cao, che è attualmente alla guida di Saipem. Più probabile il rinnovo di Matteo Del Fante i cui progetti per le Poste sembrano allineati con le idee del governo. Su Finmeccanica, la partita si giocherà tutta sulle intenzioni dell’esecutivo per il comparto della difesa. Il numero uno Alessandro Profumo è contrario ad un’aggregazione con il gruppo cantieristico Fincantieri, guidato da Giuseppe Bono. La sua figura sarebbe quindi di intralcio qualora il governo volesse invece mettere in cantiere la creazione di un campione nazionale della difesa attraverso le nozze fra i due gruppi. Un caso particolarmente spinoso, che testimonia quanto sia complessa la trattativa sul tema nomine fra i due alleati di governo.