Una calma apparente. È quella che sta andando in onda in casa Aston Martin: le casse di risonanza mediatica di un elicottero di Airbus griffato dal costruttore inglese, l’Ach130 Aston Martin Edition, o l’anticipazione di una nuova barchetta con motore V12 e 700 Cv (ne saranno costruiti solo 88 esemplari), bastano solo parzialmente a velare una situazione finanziaria abbastanza preoccupante. Il gruppo britannico – di cui il primo azionista è il fondo Investindustrial di Andrea Bonomi – paga una flessione dell’industria, l’incertezza intorno alla Brexit e una risposta tiepida ad alcuni modelli recentemente lanciati.

Già qualche settimana fa la marca inglese aveva messo le mani avanti con gli investitori, diffondendo una nota ufficiale poco rassicurante: “Le sfidanti condizioni commerciali di novembre sono continuate a dicembre nel periodo di picco delle consegne risultando in vendite più basse, costi più alti e margini più bassi”. Vendite in calo del7% sul 2018, pari a 5.809 unità, con un margine operativo lordo passato da 290 milioni di euro a uno compreso fra 153 e 165 milioni. La débâcle è coincisa con un tonfo in borsa del 10%, l’ennesimo peraltro: dal suo esordio sui mercati finanziari, datato 2018, la compagnia ha perso il 75% del suo valore.

Non serve certo un fine analista per comprendere che l’andazzo non lascia ben presagire, tanto che è stato lo stesso management della Casa ad aprire la porta a potenziali investitori strategici. Gli stessi che possano pompare capitali che controbilancino gli onerosi investimenti fatti da Aston Martin per espandere gamma e capacità produttive: sforzi economici sostenuti per dare vita al suv DBX (nella foto), che sarà assemblato in un nuovo impianto ubicato nel Galles.

In prima fila fra i potenziali pretendenti erano finiti i cinesi della Geely, già azionisti di punta della Daimler (che detiene il 5% di Aston Martin), proprietari anche di Volvo e Lotus. Un interesse dimostrato dalla presunta “due diligence” dei manager Geely, ovvero la verifica dei documenti contabili dell’Aston, spifferata dal Financial Times. Tuttavia, secondo quanto recentemente riportato da Bloomberg, la casa automobilistica sostenuta dal magnate Li Shufu potrebbe fare un passo indietro, non del tutto convinta dell’affare.

In corsa, però, c’è anche Lawrence Stroll, che è pure proprietario della scuderia di Formula 1 Racing Point. Il miliardario canadese sarebbe, per il momento, il più vicino a siglare un accordo per investire 237 milioni di euro e rilevare il 20% di Aston Martin. Anche se per il Jefferies Financial Group servirebbero almeno 470 milioni per continuare ad investire nei modelli di punta del costruttore britannico. Sta di fatto che Aston Martin deve necessariamente reperire risorse, soprattutto se vuole sostenere il progetto DBX, che potrebbe essere il veicolo della svolta commerciale, proprio come Cayenne e Urus lo sono stati rispettivamente per Porsche e Lamborghini.

Il suv inglese, peraltro, ha già registrato 1.800 ordini ma entrerà in produzione solo nella seconda metà dell’anno. E se nemmeno l’ipotesi Stroll funzionasse, allora il management proverà a raccogliere fondi tramite il collocamento di prestiti obbligazionari ad alto rendimento per 100 milioni di dollari, dopo quelli da 150 milioni emessi a settembre scorso. Un’ultima spiaggia per non finire nei libri di storia dell’automotive.

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