Il rapporto di McKinsey analizza lo scenario peggiore, quello in cui non saranno intraprese azioni per ridurre le emissioni: la Terra sarà divisa in sei zone climatiche, da 700 milioni a 1,2 miliardi di persone vivranno in aree a rischio, quasi tutte coincidente con i Paesi più poveri e in via di sviluppo. In Italia il pericolo maggiore è la siccità. Le conseguenze - anche immediate - per il mondo finanziario e assicurativo
Da 700 milioni a 1,2 miliardi di persone, entro il 2050, vivranno in zone a rischio di ondate di calori letali per l’essere umano. In più, circa 160-200 milioni di loro – situati per lo più in India – saranno già gravemente a rischio entro il 2030. Ma anche per altri paesi, tra cui quelli che si affacciano nel Mediterraneo, si prospetta un aumento progressivo della temperatura e dell’umidità, associata in alcuni casi a grave scarsità idrica. È la preoccupante previsione contenuta nel rapporto “Climat Risk and response. Physical hazards and socioeconomic impacts” prodotto dal McKinsey Global Institute (redatto in collaborazione con la McKinsey & Company’s Sustainability and Global Risk practicies). Il rapporto, che volutamente prende in considerazione lo scenario a più alto rischio, quello cioè senza azioni di decarbonizzazione, analizza la situazione di 105 paesi, il 90 per cento della popolazione mondiale. E divide il globo in sei zone climatiche.
Le sei zone climatiche: dal rischio estremo a quello basso
I paesi più a rischio di ondate di calore letali sono l’India, il Bangladesh, la Nigeria, il Pakistan e altri paesi africani e asiatici tra cui l’Eritrea, il Senegal, la Thailandia e il Vietnam. Poi c’è la fascia dei paesi dove aumenteranno umidità e calore, ma non in modo potenzialmente letale, tra cui l’Etiopia, l’Indonesia, le Filippine, e poi altri paesi come l’Ecuador, il Madagascar, l’Arabia Saudita, la Somalia, la Tanzania, l’Uruguay, lo Zambia. C’è quindi un terzo gruppo di paesi che vedranno aumentare il calore ma con più siccità, come la Colombia, la Corea del Sud, la Romania, la Serbia, il Venezuela, lo Zimbawe e altri paesi africani. Nella quarta fascia, quella a forte rischio di stress idrico e riduzione delle precipitazioni, c’è l’Italia, insieme all’Egitto, all’Iran, al Messico e alla Turchia, e ancora all’Australia, al Portogallo, al Sud Africa, alla Spagna e alla Tunisia. Il quinto gruppo di paesi è il più fortunato, o meglio il meno colpito: ci rientrano Francia, Germania, Regno Unito, Austria, Canada, Finlandia, Islanda, Bielorussia, Mongolia, Nuova Zelanda, Norvegia, Peru, Polonia, Svezia. Infine ci sono alcuni grandi paesi con latitudini troppo ampie per appartenere a una fascia climatica unica, come Argentina, Brasile, Cina e Stati Uniti. In quest’ultimo paese, ad esempio, le zone del sud est non avranno scarsità idrica ma saranno estremamente umide, mentre la costa occidentale non avrà rischi di ondate di calore ma combatterà con la riduzione dell’acqua. In generale, il rapporto evidenzia come i paesi più a rischio siano quelli più poveri dove, se si prende ad esempio l’India, possiede un condizionatore solo il 10 per cento della popolazione.
Mediterraneo: pericolo per turismo e agricoltura
Il rapporto si focalizza soprattutto sugli aspetti finanziari legati ai cambiamenti climatici, cambiamenti definiti “crescenti, non stazionari, sistemici e regressivi” e con conseguenze come precipitazioni estreme, uragani, siccità, stress da calore, aumento del livello del mare. I dati sono rivolti a settori come quello finanziario ed assicurativo, sempre più interessati alle conseguenze del cambiamento climatico, ad esempio sul settore immobiliare. Si calcola che in Florida la svalutazione delle case esposte ad alluvioni e innalzamento del mare ammonterà a 30-80 miliardi di dollari. Un altro esempio contenuto nel rapporto è quello della città di Ho Chi Minh, dove le perdite dovute al clima, si legge, raggiungeranno 200 milioni-un miliardo di dollari nel 2050. E poi ci sono le ore di lavoro in calo a causa del calore, con una perdita che entro il 2050 andrà da 4 a 6 trilioni (miliardi di miliardi) di euro e dal 2 al 3,5 del Pil mondiale. Un’altra conseguenza, dovuta alle crisi agricole, sarà un aumento del prezzo degli alimentari, del “cento per cento”, a breve termine.
Come sarà la situazione del Mediterraneo? Non molto positiva. Il clima diventerà molto più caldo, con conseguenze su alcune industrie importanti come l’agricoltura e il turismo. Entro il 2050, la siccità riguarderà i paesi mediterranei almeno sei mesi all’anno. I climatologi si aspettano un incremento del numero di giorni caldissimi in molte località turistiche del mediterraneo, mentre le coste del nord Europa potrebbero diventare destinazioni molto più piacevoli per le vacanze, cambiando i flussi dei visitatori e aumentando le diseguaglianze. Inoltre, 120 regioni note per la qualità dei loro vitigni perderanno centralità, a favore di regioni non tradizionalmente dedicate alla viticoltura.
Il ruolo di finanza e assicurazioni nel cambiamento climatico
Sapere tutto questo è, secondo McKinsey, estremamente importante, perché i mercati potrebbero decidere di allocare i capitali nelle zone non a rischio, così come le assicurazioni potrebbero crescere, oppure anche rifiutare di assicurare determinati immobili. Ad essere colpiti, come già detto, saranno soprattutto in paesi in via di sviluppo. I costi dell’adattamento di questi paesi, secondo l’Un Environmental Programm, sono di 140-300 miliardi all’anno, che potrebbero arrivare a 280-500 miliardi entro il 2050. Il rapporto suggerisce direttamente l’importanza della costruzione di atteggiamenti resilienti in diversi settori, come lo sviluppo di sementi resistenti agli stress climatici, o diversi modi di coltivazione dei vitigni, ma anche lo spostamento di comunità che vivono in regioni troppo difficile da proteggere.
McKinsey sottolinea anche il ruolo importante che potrebbero svolgere le assicurazioni non solo ad aiutare la resilienza dei sistemi, ma anche aiutando le comunità a riprendersi dai disastri naturali, sviluppando strumenti finanziari ad hoc per proteggere dagli eventi climatici e minimizzare i danni, in particolare nei paesi in via di sviluppo. Dove saranno sempre più necessarie, spiega il rapporto, partnership tra pubblico e privato così come la partecipazione di istituzioni multilaterali. Resta infine cruciale la scienza climatica e la ricerca: l’unico scenario per abbassare il livello del rischio è il livello emissioni zero, che comunque non fermerà il riscaldamento dal momento che la Co2 resta per molto tempo in atmosfera. È per questo che il rapporto, che pure invita alla decarbonizzazione, si è voluto concentrare sullo scenario peggiore. Per mostrare chiaramente gli impatti di un aumento delle temperature di anche soli due gradi e dare informazioni a quei mondi, come quello finanziario e assicurativo, ma anche quello politico, che dovranno sempre più agire proprio in base al clima e alle previsioni climatiche.