Blitz della Fiamme gialle in Lombardia, Piemonte, Lazio, Valle d’Aosta e Calabria. Perquisizioni anche in Croazia e Svizzera
Associazione per delinquere finalizzata a una frode fiscale da oltre 160 milioni di euro, estorsione, usura ed autoriciclaggio. Sono 18 gli arresti eseguiti dai finanzieri di Milano e Lecco, dallo Scico di Roma in Lombardia, Piemonte, Lazio, Valle d’Aosta e Calabria. Le Fiamme gialle su ordine del giudice per le indagini preliminari di Milano, Livio Cristofano, hanno eseguito anche un sequestro di 34 milioni di euro.
Per gli inquirenti della Dda di Milano, Sara Ombra e Gianluca Prisco, quella individuata e smantellata “un’organizzazione criminale composta anche da soggetti vicini a membri di una famiglia ‘ndranghetista da tempo radicata ed operante in Lombardia e a un gruppo criminale di origine calabrese che operava nel capoluogo lombardo. Le indagini – si legge in una nota – hanno consentito di scoprire una complessa frode carosello all’Iva nel settore delle telecomunicazioni con l’utilizzo di una fitta rete di società ‘cartiere’ e ‘filtro’, in Paesi Ue ed extra Ue, intestate a prestanome con precedenti anche per associazione di stampo mafioso e traffico di droga. Perquisizioni sono state eseguite anche in Croazia e Svizzera.
Stando agli investigatori il gruppo ha evaso, dal 2015 al 2018, con l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per oltre 160 milioni di euro, le imposte Iva e Ires per oltre 34 milioni di euro. Le indagini hanno permesso, inoltre, di riscontrare che due coniugi di esponenti di una nota cosca ‘ndranghetista e un soggetto condannato per reati di mafia erano stati assunti all’interno di imprese coinvolte nella presunta frode. Nel corso delle indagini sono stati anche ricostruiti, in capo al dominus dell’associazione, episodi di usura e autoriciclaggio, oltre ad un’estorsione commessa, con tipiche modalità mafiose, che ha portato il gip alla contestazione, nei confronti di alcuni indagati, dell’accusa di associazione mafiosa.
Nel corso di una cena in un ristorante a Verbania, nel marzo 2018, il presunto boss della ‘ndrangheta Bartolo Bruzzaniti avrebbe offerto ad Alessandro Magnozzi, arrestato oggi e ‘protagonista’ principale dell’inchiesta anche “l’opportunità di entrare in un nuovo business afferente il settore dei rifiuti che, a suo dire, gli avrebbe fruttato un guadagno di circa 4 milioni di euro all’anno“.
Dalle 270 pagine dell’ordinanza, oltre al ruolo di Magnozzi, amministratore della Nts srl e di fatto anche di un reticolo di società ‘cartiere’, e ad una presunta maxi frode fiscale da 160 milioni di euro nel settore delle telecomunicazioni e in particolare “nella tecnologia Voip“, emergono pure i racconti di una serie di imprenditori vittime di episodi di usura. Sarebbe stato proprio lo stesso Magnozzi, stando agli atti, ad individuare le persone da ‘strozzare’ con prestiti, perché versavano “in difficoltà economiche”. In più, viene a galla il fronte dei rapporti tra Magnozzi, finito in carcere, e il clan della ‘ndrangheta calabrese, radicato anche a Milano, dei Bruzzaniti inserito nella “cosca dei Morabito-Palamara-Bruzzaniti“. Agli “incontri” tra Magnozzi e “i membri della famiglia Bruzzaniti”, scrive il gip, era presente, tra gli altri, anche Gianpietro Paolo Paleari, finito oggi ai domiciliari. Tra l’altro Maria Morabito, moglie di Antonio Bruzzaniti, sarebbe stata assunta “nella Sistema srl”, una delle società riconducibili a Magnozzi. E allo stesso tempo Francesca Maviglia, moglie del fratello di Antonio, Bartolo Bruzzaniti, sarebbe stata assunta nel 2016 in una altra società delle ‘rete’ del presunto capo dell’associazione criminale.
L’inchiesta, come emerge dall’ordinanza, è partita dalla ricostruzione di “un giro di usura nel territorio di Monza e Lecco” che sarebbe stato gestito “da un imprenditore pisano, appunto Magnozzi” e da Paleari, “pregiudicato e già sottoposto a misure di prevenzione”. Tramite quest’ultimo, l’imprenditore, secondo il gip, sarebbe entrato “in contatto con esponenti di famiglie ‘ndranghetiste da tempo insediatesi in Lombardia”.
Alle vittime di usura venivano prestati soldi tramite “bonifici bancari” o in contanti. Una di queste, ad esempio, ha raccontato a verbale di aver ricevuto in prestito nel 2015 20mila euro e che gli venne applicato un interesse “dell’80%”. Un altro teste ha spiegato: “Sì, purtroppo ho conosciuto il signor Magnozzi Alessandro verso la fine del 2015 perché mi trovavo in difficoltà economica in considerazione di mancati pagamenti del ramo d’azienda”. Dovette ridare i soldi indietro e con un interesse di oltre il 50%.
Agli atti anche intercettazioni tra Paleari e Edoardo Novella, figlio del boss della ‘ndrangheta Carmelo Novella, che fu al vertice delle cosche in Lombardia e venne ucciso in un agguato nel 2008 nel Varesotto. In una telefonata Paleari forniva a Novella “informazioni su come raggiungere gli uffici di Magnozzi”. Lo stesso Magnozzi, tra l’altro, in un’altra intercettazione spiegava che Bartolo Bruzzaniti, come riassume il gip, “si occupa di tutto ciò che è connesso ai rifiuti” e che gli aveva proposto di diventare “amministratore di un consorzio che si occuperebbe delle trasformazione di materie plastiche con grandi margini di guadagno da dividere”. Tra le imputazioni contestate a Magnozzi, assieme ad altri, anche una presunta tentata estorsione, aggravata dal metodo mafiosa, da circa “70-80 mila euro”. La vittima in questo caso sarebbe stata minacciata con frasi come “se ti dobbiamo sparare non ho problemi a farti sparare … noi lavoriamo praticamente con tutte le famiglie mafiose”.