Mambacita, l’aveva ribattezzata così papà Kobe. Quella figlia era diventata il suo orgoglio più grande, una piccola Mamba. La stessa passione, lo stesso sguardo, lo stesso amore per la pallacanestro, una grazia potenzialmente simile sul parquet. Sopratutto la stessa attitudine mentale, la voglia di lavorare in palestra e sacrificarsi per arrivare in alto. Gianna Maria Onore Bryant aveva 13 anni e il mondo della Wnba, il corrispettivo femminile della Nba, aveva già gli occhi su di lei. È morta anche lei nell’incidente aereo nel quale ha perso la vita la stella dei Lakers. Stavano andando alla Mamba Sports Academy, fondata da Kobe e dove allenava proprio la squadra di Gigi, come la chiamava il cinque volte campione Nba e due volte oro olimpico, quando l’elicottero è precipitato poco fuori Los Angeles.
La sua secondogenita, nome italiano a ricordare l’amore per il nostro Paese, era diventata il miglior modo, forse l’unico possibile, per non staccare del tutto con il basket per Kobe, che non ne aveva voluto sapere di restare nel mondo dei grandi dopo il ritiro del 2016. Nelle interviste lo aveva detto e ripetuto che una volta smesso il suo primo obiettivo era godersi la famiglia, rimasta un passo indietro fino a quando c’era stata la pallacanestro nella sua quotidianità. Poi però la voglia di Gianna di apprendere lo aveva spinto ad allenare la sua squadra, a consigliare e a farla crescere. In privato, nella palestra di casa dove un video della mamma e moglie Vanessa li aveva immortalati in un uno-contro-uno, e nella squadra della sua Academy.
Domenica mattina erano andati in chiesa insieme, poi erano saliti sull’elicottero direzione Thousands Oaks, dove la Mambacita avrebbe dovuto giocare. Un altro piccolo passo verso quel futuro che aveva scelto, come dimostra la sua curiosità a bordo campo in diversi match Nba di papà Kobe prima e dei Lakers dopo il suo ritiro. Era scritto nel Dna, il campione non aveva scelto per lei. L’aveva raccontata così negli scorsi mesi in un’intervista al Los Angeles Times: “Di Gigi mi piace la sua curiosità per il basket, è interessata a tutto. Durante una partita ha la rara capacità di analizzare ciò che accade e di porre le domande giuste”, aveva detto. “È un privilegio guardarla mentre si muove durante le partite e notare alcune delle sue espressioni. È pazzesco vedere come funziona la genetica”, aveva sorriso nel rivedere quei movimenti, quel tiro, quello sguardo agonisticamente feroce che era stato il suo.