Il ricovero nell’ospedale di Rovigo, la decisione di trasferirla a Padova, in una struttura sanitaria più attrezzata per nascituri prematuri. E poi il parto durante il viaggio, in ambulanza, con conseguenze drammatiche. Il piccolo è venuto alla luce con gravissimi danni, fratture agli arti ed ematomi al cervello. È questa la drammatica vicenda che si è verificata il 9 gennaio e che ha ora portato all’avvio di due inchieste a seguito della segnalazione della madre, la prima penale, la seconda amministrativa. “Non mi interessano i soldi, ho fatto denuncia ai carabinieri perché quel che è successo a me e al mio piccolo non deve capitare. A nessuno. Mai più”, così ha dichiarato la 46enne originaria del Polesine che si è rivolta all’avvocato Mario Cicchetti di Rieti.
Adesso, a due settimane di distanza si reca in ospedale solo per portare il latte al suo bambino, che può vedere attraverso i vetri del reparto di rianimazione. La diagnosi parla di braccia fratturate, una menomazione alla mano destra, ematomi ovunque, anche al cervello. Lei ribadisce che si è trattato di un caso di negligenza sanitaria. Per questo chiede che si accerti come si sono svolti i fatti e se qualcuno ha sbagliato, prima nella decisione di dirottarla verso l’ospedale di Padova, poi nella fase drammatica del parto in ambulanza, dove le condizioni per il ginecologo sono sicuramente più difficili che in una sala parto.
Il direttore generale dell’Ulss 5 Polesana, Antonio Compostella, ha dichiarato di non essere stato “informato dalla sua organizzazione di quanto avvenuto il 9 gennaio e me ne dispiaccio. Venuto a conoscenza del fatto mi sono subito interessato e ho ricostruito in maniera sintetica i fatti”. Ecco la sua ricostruzione: “La signora è stata registrata in pronto soccorso a Rovigo alle 11:50 e subito inviata alla divisione di ostetricia, dove è stata vista da due medici ginecologi entro le 12:24. I medici hanno valutato, sulla scorta del quadro clinico, il trasferimento della gestante pretermine all’ospedale di Padova”. Si trattava, quindi, di un “trasferimento con feto in utero”. La partenza dopo un’ora. “Alle 13:35 la signora è partita in autoambulanza, accompagnata sia dall’autista e infermiere del 118, che dal medico ginecologo. Durante il tragitto, all’altezza di Monselice, è stato espletato il parto con assistenza del medico ginecologo. Alle 14:17 mamma e neonato sono stati presi in carico dal personale dell’ospedale patavino”.
I danni erano ormai stati fatti. Il dottor Compostella ha spiegato: “La decisione di trasferirla è stata presa sulla scorta del quadro clinico fatto nel momento della visita. Mi riferiscono che le condizioni non facevano presagire un’evoluzione così rapida. Per quanto riguarda le accuse della paziente riguardo a un trattamento freddo, se confermato, sarebbe un fatto gravissimo”. La donna ha infatti dichiarato di aver dovuto telefonare al proprio ginecologo per sollecitare la sua presa in carico: “Al triage mi avevano detto che dovevo aspettare, alle 11:46 ho telefonare al mio medico e solo dopo il suo intervento, alle 12.24, mi hanno messo il braccialettino del ricovero che riporta proprio quell’ora. Avevo detto subito di avere una gravidanza a rischio e che perdevo sangue. Mi hanno fatto sedere su una sedia di metallo, fredda come l’atteggiamento di chi mi doveva seguire”.
Dopo molte insistenze, prosegue la donna, “mi hanno trasferita in ginecologia. Mi hanno fatto attendere mezz’ora. Mi hanno deriso e solo dopo avermi visitata e fatto un’ecografia si sono resi conto che era una cosa grave. Con una calma irritante mi hanno fatto una flebo in attesa che un’ambulanza mi portasse a fare il cesareo a Padova”. La madre chiede perché non si sia fatto il parto in condizioni di sicurezza in ospedale, per poi eventualmente trasferire il piccolo a Padova, avvalendosi del Servizio di trasporto del neonato critico presso il dipartimento di Pediatria patavino che copre anche la provincia di Rovigo. Il reparto di Patologia Neonatale di Padova è infatti particolarmente attrezzato per trattare i nati prematuri.