La paura di essere incastrati e le “confidenze” a moglie e amiche dopo l’uscita del film Sulla mia pelle che ha ripercorso il caso della morte di Stefano Cucchi. Ma anche il rischio di infangare l’Arma e le richieste arrivate dai superiori. Dei timori e delle diffidenze di alcuni carabinieri imputati nel processo sui presunti depistaggi seguiti alla morte del giovane romano, deceduto il 22 ottobre 2009, a una settimana dall’arresto per droga, ha parlato in aula il capo della Squadra mobile di Roma, Luigi Silipo. Ha ripercorso come testimone dell’accusa alcuni elementi emersi nelle intercettazioni contenute in un’informativa redatta dai suoi uomini nel corso dell’inchiesta sulla presunta catena di falsi che vede a processo 8 militari dell’Arma.

Le indagini, che riguardano nello specifico le doppie annotazioni sullo stato di salute di Cucchi attraverso i verbali della stazione di Tor Sapienza, rivelano numerosi elementi. Il 22 settembre, giorno della notifica degli avvisi di garanzia ad alcuni carabinieri all’epoca indagati e oggi imputati (Massimiliano Colombo Labriola e Francesco Di Sano), uno di loro, il luogotenente Colombo Labriola, parla a Gianluca Colicchio (non imputato, ndr) della notifica e dell’esistenza delle doppie annotazioni, “modificate da Cavallo” (il tenente colonnello allora vice comandante del Gruppo Roma). Labriola avrebbe trasmesso annotazioni per riceverle modificate. E mentre Di Sano avrebbe firmato l’annotazione modificata, Colicchio si sarebbe opposto.

Alla luce di quanto stava emergendo durante il processo Cucchi bis sul pestaggio, modifiche e ordini di superiori avrebbero suscitato anche molte diffidenze e la paura di essere incastrati. “Io per fortuna, Fabio, la mail l’ho stampata. L’hanno vista in tanti. Ho fatto già un primo filmino, ma non viene bene. Lo devo rifare perché ho paura che mi cancellino la mail. E quella è il mio salvavita”, diceva al telefono, il 26 settembre 2018, il maresciallo Colombo Labriola, comandante della stazione di Tor Sapienza, parlando con il fratello Fabio. La conversazione si riferisce all’ordine impartito dalla scala gerarchica del Gruppo Roma di falsificare le annotazioni sullo stato di salute del 31enne geometra quando la sera dell’arresto venne portato in caserma. Colombo Labriola, ha sottolineato il capo dela Mobile in aula, era preoccupato perché temeva di essere incastrato dai vertici dell’Arma e con quel filmato sulla mail si sentiva al sicuro.

Tra queste, le conversazioni registrate dopo l’uscita del film su Stefano Cucchi, nel settembre 2018, in cui l’appuntato Gianluca Colicchio – non imputato e all’epoca piantone di turno alla stazione di Tor Sapienza, dove fu portato Cucchi dopo l’arresto e il pestaggio – sosteneva in una conversazione con la moglie di sapere come erano andate le cose e che le responsabilità erano dei carabinieri. Parole riferite anche ad un’amica della moglie.

Non solo. Per i carabinieri c’era il rischio di infangare ancora l’Arma con la notizia della morte di Cucchi, dopo il caso mediatico per la vicenda del governatore Marrazzo di pochi mesi prima. Riferendosi al contenuto di una intercettazione telefonica del 2018 tra l’imputato Francesco Di Sano e suo cugino, l’avvocato Gabriele Di Sano, Silipo ha spiegato in aula che “l’immagine dell’Arma, già sporcata dalla storia della tentata estorsione ai danni dell’allora governatore del Lazio, sarebbe stata danneggiata ulteriormente se si fosse saputo del coinvolgimento di militari nel caso Cucchi. Il ragazzo morì il 22 ottobre 2009 e il giorno dopo quattro carabinieri della Compagnia Roma Trionfale vennero arrestati per la vicenda Marrazzo”.

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