La decisione della conferenza dei capigruppo del Senato arriva dopo che lo scorso 20 gennaio la Giunta per le Autorizzazioni del Senato aveva ha respinto, con i voti della Lega, la relazione con cui il presidente Maurizio Gasparri (FI)
Dopo polemiche e rinvii il prossimo 12 febbraio alle 9.30 l’Aula del Senato esaminerà la richiesta di processo per Matteo Salvini sulla vicenda della nave militare Gregoretti. La decisione della conferenza dei capigruppo del Senato arriva dopo che lo scorso 20 gennaio la Giunta per le Autorizzazioni del Senato aveva ha respinto, con i voti della Lega, la relazione con cui il presidente Maurizio Gasparri (FI), proponeva di negare la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno presentata dal Tribunale dei ministri di Catania. Ieri l’ex vicepremier, indagato per sequestro di persona, aveva nuovamente chiamato in causa il premier Giuseppe Conte: “Quando uno entra in tribunale si dice che la legge è uguale per tutti. A metà febbraio il Senato deciderà se devo andare a processo, invito Conte e Lamorgese con me”. Su Facebook un post durissimo: “Sono passati quattro giorni prima di concedere un porto sicuro ai migranti a bordo della nave Ocean Viking. Li denuncio!” E ancora: “Denuncio per sequestro di persona il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno per aver tenuto a bordo 400 persone per 4 giorni. Ci troviamo in tribunale con il signor Conte e la signora Lamorgese. Così vediamo se il criminale è solo Salvini o se la legge è uguale per tutti”. Poi, l’ex titolare del Viminale, rincara la dose: “Se sono criminale io, lo sono anche loro, se ho fatto il mio dovere io, lo hanno fatto anche loro. Con una piccola differenza – osserva ancora Salvini – che gli sbarchi sono quintuplicati”. Il Pd ha fatto sapere che voterà sì.
Le accuse contro Salvini – Secondo il Tribunale non c’era alcun interesse pubblico o rischio per l’ordine pubblico che potessero giustificare la decisione di impedire lo sbarco dei 131 migranti che dal 25 al 31 luglio 2019 sono rimasti a bordo della nave della Guardia Costiera. Situazione aggravata ulteriormente, tra le altre cose, dalla presenza di minori non accompagnati a bordo e dal fatto che si trattava di un’imbarcazione militare e, quindi, non soggetta alle nuove direttive previste dei decreti Sicurezza. Salvini è indagato, infatti, per sequestro di persona, aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale, dall’abuso dei poteri inerenti le funzioni esercitate, nonché per avere commesso il fatto anche in danno di soggetti minori d’età.
I giudici: “La Gregoretti nave militare” – Innanzitutto, scrivevano i giudici, trattandosi di una nave della Guardia Costiera italiana si è in presenza di un’imbarcazione militare, quindi esclusa dai provvedimenti inquadrati dal decreto Sicurezza bis. Inoltre, vengono anche contestati i “motivi di ordine o sicurezza pubblica”: “Va osservato come lo sbarco di 131 cittadini stranieri non regolari non potesse costituire un problema cogente di ordine pubblico per diverse ragioni – spiegano – ed in particolare: in concomitanza con il caso Gregoretti si era assistito ad altri numerosi sbarchi dove i migranti soccorsi non avevano ricevuto lo stesso trattamento; nessuno dei soggetti ascoltati dal Procuratore della Repubblica di Catania, da quello di Siracusa e da questo Tribunale ha riferito informazioni sulla possibile presenza, tra i soggetti soccorsi, di ‘persone pericolose’ per la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale”. Una decisione, concludeva il Tribunale, che quindi è stata adottata “per la volontà meramente politica di affrontare il problema della gestione dei flussi migratori invocando la ripartizione dei migranti a livello europeo”.
Alcuni aspetti della vicenda, precisano i giudici, evidenziano delle affinità con il caso della nave Diciotti, anche quella mezzo militare per la cui vicenda era stata richiesta l’autorizzazione a procedere, poi negata dal Senato, ma con alcune differenze che risultano aggravanti nel caso della Gregoretti: innanzitutto, la nave Diciotti è attrezzata per le operazioni di soccorso in mare, a differenza della Gregoretti, “destinata all’attività di vigilanza sulla pesca” e non ad eventi di questo tipo, tanto che “non è in grado di fornire un’adeguata sistemazione logistica ad un così elevato numero di persone”. Situazione che complica ulteriormente le condizioni di permanenza a bordo dei migranti, “esposti agli agenti atmosferici con le problematiche che ben sono immaginabili. La ridotta composizione dell’equipaggio, solo 30 uomini, non consente la corretta gestione di un così elevato numero di persone“.
E le condizioni a bordo, di cui Salvini era stato informato, secondo quanto scritto dai giudici, erano state descritte dalla dottoressa Agata Stefania Reale del Corpo Italiano di Soccorso Ordine di Malta che si trovava a bordo di una delle navi che ha effettuato il trasbordo di una parte dei naufraghi sulla Diciotti. È lei ad aver dichiarato di “aver accertato numerosi casi di scabbia (circa 30) tra i migranti a bordo, destinati ad aumentare, per il rischio contagio, col passare dei giorni”, descrivendo le condizioni sanitarie a bordo “scadenti” e “in graduale peggioramento”. Situazione confermata dalla successiva ispezione a bordo, il 30 luglio.
Il documento passa poi ad analizzare le varie violazioni delle leggi e convenzioni internazionali in materia. Specificando che “l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”, si ricorda che “le convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato“. Tra queste si citano la Convenzione Onu sul diritto del mare del 1982, la Convenzione Solas, la Convenzione di Amburgo o “Sar” e la Convenzione Unclos che, tra le altre cose, specificano che il coordinamento delle operazioni di salvataggio spettano agli Stati anche nel caso in cui non avvengano nelle aree di loro competenza ma nel caso in cui “abbiano per primi ricevuto notizia di persone in pericolo in mare e ciò fino a quando il centro di coordinamento competente non abbia formalmente accettato tale responsabilità”. Il tutto per “minimizzare i tempi per il trasporto delle persone in un luogo sicuro”. Mettendo il proprio veto sulla determinazione del place of safety (porto sicuro), il ministro ha così “abusato delle funzioni amministrative attribuitegli”, si legge. Il tutto aggravato dalla presenza di persone malate, donne e minori a bordo.