Capitale della cultura 2020, People of Parma e blablablà e cicicì. Esondata la fanfara dell’inaugurazione alla presenza del Presidente Sergio Mattarella, resta un teatro piccolo, piccolino, ma grande (presente Federico il topolino? Quello che salva i suoi fratelli dall’inverno freddo freddissimo raccontando favole perché non sentano la fame fino a primavera? Lui).
È il teatro del Cerchio. Negli anni si è complicato la vita, ha fatto tutto da solo e può incolpare solo se stesso: il suo pubblico è cresciuto e non sa più dove farlo stare. Così, nel 2019, la pre-capitale culturale lo “sfratta” (Scuola “Anna Frank”, lavori in corso) e lo manda a tempo determinato all’Auditorium “Toscanini”, ma fino al 31 dicembre 2019. Anno nuovo e lì non ci possono più stare: la stagione salta.
La stagione salta perché la Capitale eccetera eccetera non trova dove far quadrare il Cerchio. Niente messaggi di solidarietà scritti da attori, registi e docenti (che scelgono il più rinomato teatro delle Briciole, forse perché quelli del Cerchio sono meno uguali degli altri, boh).
Parma è fatta di “intellettuali” strani: esprimono solidarietà davanti a una macchina fotografica, durante un vernissage o un selfie d’ordinanza, ma non si abbassano a difendere un teatro di periferia. E’ un mondo che si affaccia dal pulpito del palco in nome dell’arte, avido di braci nel falò delle vanità, zerbino che non rischia di cadere: se il Cerchio (si) chiude è un concorrente in meno?
“Dispiace che nell’anno di Capitale della Cultura, Parma si presenti con un passo, a nostro avviso falso, verso una delle strutture più operative del territorio che è ancora in attesa di una collocazione definitiva e di un bando di assegnazione (in caso di vittoria) per un teatro, quello di Via Pini, che pur essendo stato inaugurato a dicembre 2019 ancora non è stato reso pubblico nonostante l’emergenza di spazi in città proprio per gli innumerevoli eventi del 2020″ dice il comunicato del Teatro del Cerchio. Dispiace davvero.
Una volta ho recensito uno spettacolo del teatro del Cerchio, si intitolava Icaro e la falena. I miei figli avevano 3 e 4 anni. Per recensire lo spettacolo dovetti recensire loro, i miei figli: continuavano a far domande, a voler sapere, a guardare e meravigliarsi e io non riuscivo a vedere lo spettacolo, preso com’ero a sussurrargli nelle orecchie.
Ma era dieci anni fa e tutto, o quasi, è cambiato: il teatro del Cerchio è cresciuto in qualità, in pubblico, in posti di lavoro. Quello che non è cresciuto è fuori e sta lasciando solo un buco al posto del Cerchio. Buon 2020, a seguire lambrusco e bolliti.