C’era una volta Roma, oggi c’è Parasite. Sulle previsioni rispetto a chi vincerà l’Oscar come Miglior film internazionale (ex Miglior film in lingua straniera) si palesa un pressante dejaa-vu con il 2019. Che forse supera addirittura le previsioni unanimemente positive attribuite al film di Alfonso Cuaron: la corrosiva e geniale opera di Bong Joon-ho gode di favori che possiamo serenamente definire superlativi all’unisono su base planetaria. Difficile, anzi praticamente impossibile immaginare che non sia il film sudcoreano ad avere la meglio sui pur rispettabili candidati nella medesima cinquina, con buona pace di Pedro Almodovar che forse, non ci fosse stato Bong sulla sua strada, avrebbe trionfato a questo giro con lo struggente Dolor y Gloria. Si dovrà probabilmente accontentare dei tanti Goya appena ricevuti il veterano del cinema spagnolo, amato nel mondo e finalmente rispettato anche in Patria.
Da parte sua, l’ottava prova in lungo del cineasta sudcoreano ha già vinto tutto, dalla Palma d’oro e il Golden Globe in poi, ha una media di 1,02 fra i maggiori scommettitori (praticamente non conviene neppure puntare..) e un “mostruoso” 99% di recensioni positive sull’aggregatore Rotten Tomatoes corroborato dal punteggio 96/100 su Metacritic: la statuetta dell’Academy servirebbe a completare una collezione come poche precedenti, almeno finora. Va considerato, infine, che Parasite – in originale Gisaengchung – è candidato ad ulteriori cinque Oscar oltre a quello internazionale (miglior film, regia, sceneggiatura, montaggio e scenografia) e non ci sarebbe nulla di cui scandalizzarsi se la storia delle due famiglie opposte e uguali di Seul riuscisse a diventare il primo lungometraggio sudcoreano a trionfare come Best Film in assoluto. E i suoi contendenti?
Se l’autobiografia creativa di Almodovar è data a 13 dai bookmakers, a circa 21 volte la puntata è fissato il candidato francese Les Misérables di Ladj Ly, un esordio dirompente anch’esso acclamato all’ultima Cannes, dove ha meritato il Prix du Jury. Crime movie ad alta tensione che vede opposti poliziotti impegnati nelle banlieue parigine contro gang locali a loro volta internamente agguerrite, s’ispira alle rivolte del 2005 ma per evidenti inquietudini sociali francesi rispecchia un’attualità stringente. Il film uscirà a marzo nelle sale italiane. Non è ancora prevista, invece, una distribuzione per il candidato dalla Nord Macedonia, Honeyland (Medema Zemja) di Ljubo Stefanov e Tamara Kotevksa, una poesia sotto forma documentaria sull’antica pratica dell’apicoltura che non a caso ha la nomination anche nella categoria dei film non di finzione. Se Honeyland è dato a 24 dagli scommettitori, fissata a 34 è la quota moltiplicatrice in caso di vittoria del polacco Corpus Christi (Boże Ciało) di Jan Komasa apprezzato alle Giornate degli Autori veneziane 2019. Un dramma potente e visionario che mette al centro la vicenda di un giovane ex detenuto desideroso di farsi prete e che, per un equivoco, viene proprio scambiato per sacerdote in un villaggio di provincia mentre indossava la tonaca. Su una drammaturgia perfetta e sull’interpretazione sorprendente del giovanissimo Bartosz Bielenia si innervano i temi portanti del film, che scava con profondità sui territori delle coscienze individuali e collettive di una comunità – e di un Paese – visibilmente feriti.