Pubblichiamo alcuni estratti dell'intervento di Luca Poniz a Milano in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario: il presidente dell'Associazione nazionale magistrati ha criticato la censura dei penalisti nei confronti del consigliere del Csm Davigo e chi sulla prescrizione prospetta "scenari apocalittici" e si scopre "garantista a la carte..."
La protesta degli avvocati che hanno cercato di censurare Piercamillo Davigo è “gravemente impropria” perché si tratta di “ostracismi preventivi e veti ad personam“. Mentre per quanto riguarda il dibattito sullo stop alla prescrizione, è “intollerabile” la “lezione di garantismo” che arriva oggi “dal mondo della politica” dopo aver introdotto “le più irrazionali e ingiuste riforme sostanziali e processuali”. Parole utilizzate dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Poniz, nel suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario a Milano, davanti alla presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, al consigliere del Csm Piercamillo Davigo e alla presidente della Corte d’Appello, Marina Tavassi.
Pubblichiamo alcuni estratti del discorso tenuto dal numero uno dell’Anm, riguardanti la protesta degli avvocati della Camera penale di Milano che hanno lasciato l’Aula Magna contestando l’ex pm di Mani Pulite Davigo e il ruolo della politica nel dibattito sulla riforma della giustizia.
SULLA PROTESTA DEGLI AVVOCATI CONTRO DAVIGO – Quest’Aula è stata, e sarà, anche il luogo della formazione scientifica e culturale della Magistratura e dell’Avvocatura, non di rado ad esse comune, come è naturale sia pensando al bene supremo della Giustizia, ed alla collegata, irrinunciabile finalità di condividerne i principi e valori comuni.
Ed è per questo che oggi appare ancora più gravemente impropria un’iniziativa di protesta che, lontano dall’essere un pacato, argomentato, ancorché fermo, confronto di idee, vorrebbe negare la presenza stessa, e la voce, ad un interlocutore, persino nella sua veste istituzionale: ostracismi preventivi e veti ad personam contraddicono apertamente non soltanto il metodo del confronto delle idee, ma quei valori stessi, di fondamento costituzionale, ai quali si pretende di ispirarsi.
SULLA PRESCRIZIONE E LA “LEZIONE DI GARANTISMO” – Quello che, sull’argomento, rifiutiamo è la contesa manichea, la prospettazione di scenari apocalittici, e ancora peggio l’interessata strumentalizzazione politica di questa o quella posizione, questa o quella precisazione, questo o quel distinguo: ciò che nel nostro linguaggio è da sempre segno di profondità e articolazione del pensiero, diviene sorprendentemente formidabile occasione di strumentalizzazione politica.
E quello, ancora, che troviamo oggi intollerabile è la lezione di garantismo che pretenderebbe di impartire chi, dal mondo della politica, non ha esitato a introdurre a suo tempo le più irrazionali ed ingiuste riforme sostanziali e processuali; e, per rimanere sul terreno stesso della prescrizione, a modificarla nel 2005 con una disciplina piegata a contingenti esigenze (e infatti subito fulminata da una Sentenza della Corte Costituzionale) e costruita su princìpi intimamente irrazionali, forieri di effetti irragionevoli, quale, tra gli altri, l’enorme impatto della recidiva sulla durata del tempo per prescrivere.
Questi sono davvero “imputati per sempre”: il ricettatore di un’auto che, ove recidivo qualificato, potrà stare nel processo per oltre 20 anni, e lo potrebbe stare per statuto normativo, per così dire, e non per inerzia o neghittosità dei giudici. Distratti, talvolta, questi garantisti a la carte….
Quanto agli “imputati per sempre” – che, come sappiamo, esistono per previsione normativa, finora non censurata in relazione al parametro costituzionale sovente, ma impropriamente, evocato – la formula è suggestiva, ma infondata: mentre allude, con preoccupazione del tutto giustamente coerente con la funzione difensiva, al timore di una dilatazione del tempo – ad evitare la quale tutti dovremo lavorare, fin d’ora, alacremente, ognuno secondo le rispettive responsabilità – evoca implicitamente un’idea errata della giurisdizione, e dei giudici, il cui impegno alla definizione dei processi nei tempi, coerenti con un’idea accettabile di giustizia, svanirebbe per il solo venir meno di un timer finora congegnato con l’effetto di poter sancire la morte dei primi . O l’aborto, come ha chiosato con rara efficacia in un recente articolo il Presidente Emerito, Ernesto Lupo.
SULLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA – Mettere dunque mano, nel tempo che si apre prima del primo prodursi degli effetti delle nuova disciplina, ad un insieme di riforme: che ripensino dalle fondamenta il diritto penale, la sua ormai patologica ipertrofia; che, tra le altre misure, incentivino il ricorso ai riti alternativi, con incentivi ancora più marcati al patteggiamento nelle indagini, e consentano di diminuire drasticamente il ricorso al dibattimento – cuore del processo accusatorio; che potenzino i segmenti della giurisdizione su cui è prevedibile si producano gli effetti degli interventi normativi; e molto altro ancora, come abbiamo argomentato e proposto, in alcuni casi anche con proposte condivise con l’avvocatura, nei tavoli di confronto istituiti dal Ministro della Giustizia. Prioritari, ovviamente, investimenti, su personale e mezzi: certamente apprezzabile la netta inversione di tendenza registrata sotto la guida dei due ultimi Ministri, che tuttavia ha dovuto rincorrere gli effetti di precedenti, irresponsabili scelte.
[…] Siamo certi che il Ministro della Giustizia non compirà una scelta capace di trasformare la giurisdizione e di imprimerle una direzione dagli esiti potenzialmente nefasti, una scelta che la magistratura associata contrasterà radicalmente, naturalmente con le modalità e il senso di responsabilità che da sempre caratterizza la nostra azione.
Rimane naturalmente ferma la nostra disponibilità al confronto, con la Politica, l’Avvocatura, l’Accademia. Senza toni apocalittici, senza contrapposizioni manichee. Senza la pretesa di possedere soluzioni definitive. Sempre fermi, tuttavia, nella difesa orgogliosa delle prerogative che la Costituzione ci assegna per la tutela delle libertà e dei diritti.