Forse perché sono abituata, ormai, a leggere rapporti sul cambiamento climatico che prospettano scenari abbastanza vicini così negativi e critici da indurre abbastanza angoscia e spavento, che non sono particolarmente preoccupata per il nuovo virus cinese. Almeno al momento, vivo tutto da osservatrice distaccata, il che mi è stato molto utile per capire alcune cose. La prima: quando c’è una minaccia non tanto reale – non sappiamo in verità quanto reale sia – ma percepita veramente come tale, le persone, gli stati, il mondo intero si mobilita. E’ incredibile vedere la quantità di protocolli, risorse umane, risorse economiche messe in campo per arginare il contagio. E’ incredibile anche come la gente sia preoccupata, e anche terrorizzata, per la propria incolumità e la propria salute, tanto da mettere in atto atteggiamenti preventivi eccessivi e persino inutili (vedi le mascherine andate a ruba da ogni farmacia).

Insomma quello che si vede è un via vai di decine di migliaia, anzi molti di più, sanitari in tutto il mondo che con guanti e mascherine eseguono i controlli a chi proviene da zone a rischio. Ospedali costruiti in pochi giorni, secondo quello che riporta la stampa. Conferenze stampa dei premier di tutto il mondo, per rassicurare la popolazione. Scienziati febbrilmente al lavoro per produrre un vaccino. Aerei fermi. E ovviamente, milioni di servizi sui media, che vanno dalla cronaca ai consigli per difendersi.

Tutto ciò va molto bene e dimostra la capacità dell’umanità di agire insieme rispetto a una minaccia globale. Ma chi studia da vicino il cambiamento climatico non può fare a meno di notare la differenza di atteggiamento rispetto alla minaccia del riscaldamento globale. Che, possiamo dirlo forte, è molto, ma molto più pericolosa di questo virus, tanto da non essere neanche comparabile. Non solo. A differenza del virus, è una minaccia certa e progressiva e che non si ferma, anzi aumenta di intensità così come aumentano le sue conseguenze. E mentre il virus forse un giorno passerà, le temperature non torneranno indietro e con loro anche le terribili devastazioni che portano con sé.

Non voglio mettermi a spiegare perché il riscaldamento globale è più pericoloso, elencando le catastrofi certe a cui andiamo incontro se non decarbonizziamo questo pianeta. E’ inutile, mette ansia e, diciamolo, l’ho già scritto tante volte. Quello che vorrei fare qui è, appunto una riflessione sulla differenza di atteggiamenti e di reazione rispetto a due minacce, di cui una molto più grave dell’altra. Eppure, per quella meno grave si sta mobilitando il mondo intero. Per la più grave, solo una piccola parte della popolazione, una piccola parte dei media, peraltro con grande frustrazione perché spesso chi si occupa di clima viene percepito, vedi Trump, come un profeta di sventura.

La domanda da farsi è: perché. Perché la gente corre a comprare mascherine, prega e piange per il coronavirus e non per il cambiamento climatico. La risposta è semplice: non lo percepisce come una minaccia diretta alla propria vita, qualcosa che potrebbe attaccare il suo corpo nel giro di poche ore e giorni. Purtroppo, questa percezione è sbagliata. Il cambiamento climatico sta già agendo ora sulle nostre vita, ha già provocato tantissimi morti, tra cui molti che non conteggiamo neppure, perché si muore magari di polmonite, non di ondata di calore, ma un’ondata di calore può colpire e aggravare chi già è malato ed essere la causa della morte. La cosa più grave, però, che questa percezione distorta accomuna anche i politici, che non fanno nulla perché credono che il pericolo sia dilazionato e che non si manifesterà all’interno del loro mandato.

Purtroppo questo è frutto di miopia e ignoranza. Fare conferenze stampa d’urgenza per il virus può far apparire come eroi. Ma chi può dire che non si apparirebbe lo stesso tali se si facessero conferenze stampa d’urgenza sul clima? In qualche modo, è la politica che dovrebbe indurre paura nella popolazione, al tempo stesso offrendo le risposte, invece che fare finta di nulla o rassicurare, perché tanto l’emergenza capiterà a chi sarà dopo (cosa falsa, ormai, ditelo al premier australiano: chi può dirsi al sicuro, politicamente parlando?).

E poi ovviamente ci siamo noi, i giornali. Ho scritto mille volte, siamo colpevoli, sia di indifferenza ma anche di scarsa capacità di comunicare il cambiamento climatico, quando lo abbiamo fatto. Certo, meglio che non farlo, ma ormai abbiamo capito che minacce generali, per quanto tremende, non colpiscono. Forse dovremo cominciare invece a far emergere il legame tra realtà e fenomeni locali e cambiamento climatico. Dovremmo cominciare a parlare della temperature già bollenti delle aule delle scuole dei nostri bambini a maggio, dovremmo intervistare i pediatri e farli parlare sulle infezioni respiratorie causate dal cambiamento climatico nei nostri figli. Qui e ora. Quest’estate al massimo. Non tra dieci anni.

Non è un compito facile. Il cambiamento climatico è un tema ostico ma dobbiamo renderlo il più possibile concreto. Perché una volta che si percepisse la reale minaccia, tutti si metterebbero a fare qualcosa, immediatamente, compresi gli stati. Per il coronavirus sono stati fermai milioni di voli. Se si capisse davvero cos’è il riscaldamento globale e le sue conseguenze, potremmo fermarli anche per questa causa, ovvero per eccesso di emissioni. Se si fosse certi della minaccia del clima, lo si farebbe, altro che. È solo un maledetto problema di percezione.

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