Li Weinliang, scrive La Stampa, il 30 dicembre aveva lanciato l'allarme per l'epidemia in una chat di medici. Il 3 gennaio la polizia è andata a casa sua: "Il tuo comportamento - scrivono gli agenti a verbale - ha gravemente disturbato l'ordine sociale". Il Comitato di Salute cinese interverrà per confermare il contagio da persona a persona soltanto il 20 gennaio
Pechino ha cercato di reprimere notizie e dibattito della comunità scientifica intorno al coronavirus, minacciando chi per primo ha scoperto la sua trasmissibilità da uomo a uomo. La storia, emblematica, è quella di Li Weinliang, medico. Il 30 dicembre 2019 lancia l’allarme in una chat di colleghi laureati nel 2004 all’Università di Wuhan. “Confermati 7 casi di Sars provenienti dal mercato di frutta e pesce”, scrive. Poi invia in chat la diagnosi e le foto dei polmoni di alcuni pazienti: spiega che sono isolati in sala di emergenza. In chat lo avvertono che quelle comunicazioni potrebbero essere cancellate, ma lui prosegue: “Confermato che si tratta di coronavirus, stiamo cercando di identificarlo, fate attenzione, proteggete le vostre famiglie”.
I messaggi, riportati da La Stampa, non passano inosservati: il 3 gennaio 2020 la polizia cinese si presenta a casa di Li e gli consegna un “avvertimento”. Deve smetterla di diffondere “parole non veritiere in rete. Il tuo comportamento – scrivono – ha gravemente disturbato l’ordine sociale” e questo è un “comportamento illegale“. Li deve a quel punto firmare un documento di collaborazione con la polizia, e in coda al verbale degli agenti si legge: “Speriamo che ti possa calmare e possa riflettere su te stesso. Ti avvisiamo che se continui a perpetrare nel tuo comportamento e non rifletti sulle tue azioni sbagliate ma decidi di continuare a condurre attività illegali, sarai sanzionato dalla legge”.
Le minacce della polizia arrivano nel giorno in cui le autorità sanitarie cinesi spiegano che non c’è nessuna emergenza in corso, nonostante le evidenze di Li, e nega che si sia verificata la trasmissione da uomo a uomo. Affermazioni smentite da Lancet: in una ricerca pubblicata il 24 gennaio si legge che dall’1 all’11 gennaio 7 medici su 248 sono stati contagiati. Ma se il 3 gennaio per Li e altri medici è evidente che l’epidemia si stia propagando e che il contagio da uomo a uomo è possibile, il Comitato di Salute cinese interviene soltanto 17 giorni dopo – e cioè il 20 gennaio – per confermare questi elementi. Due giorni dopo l’epidemia è già diffusa ben oltre Wuhan: i morti sono già 17 e i contagi 570. Nelle prime ore del 23 invece parte il blocco dei trasporti nella città- focolaio dell’epidemia, che però sarà attivo dalle 10. Fino ad allora, quindi, niente mascherine, niente isolamento. Il 23 gennaio sono esplosi rabbia e frustrazione sui social (spesso censurati) perché il governo non aveva diffuso prima le notizie riguardo il contagio, facendolo soltanto dopo quanto già pubblicato e diffuso dalla stampa estera. Oggi Li è ricoverato con tutta la sua famiglia.