Tra le richieste dell'organizzazione, garantire entro il 2022 che gli indumenti invenduti non siano distrutti e utilizzare almeno il 50% di tessuti biologici o riciclati nelle nuove collezioni. Ma anche ripensare i propri show perché diventino a “rifiuti zero”, ossia ogni risorsa impiegata sia riciclabile. E monitorare costantemente la carbon footprint delle sfilate
La sostenibilità non è una moda passeggera, è la chiave del futuro. Anche per chi vive di passerelle, outfit e dintorni. È questa la scommessa della Copenaghen Fashion Week (Cfw) appena conclusa, che ha animato la capitale danese da martedì 28 fino a fine gennaio 2020. Una rassegna che vuole andare oltre le ultime tendenze scandinave in fatto di abiti, accessori e look, per trasformarsi in una “piattaforma in difesa dell’ambiente”, come ha dichiarato Cecile Thorsmark, amministratore delegato di Cfw, alla cerimonia d’apertura dell’evento.
Per raggiungere lo scopo, è stato presentato un piano d’azione triennale: 17 obiettivi che i marchi fashion dovranno trasformare in realtà entro il 2022 se vorranno garantirsi l’accesso alle prossime edizioni della kermesse. “Sono traguardi ambiziosi ma non enormi o impossibili da raggiungere”, ha rassicurato Thorsmark, “altrimenti perderemmo l’appoggio dell’industria della moda e non cambierebbe nulla”. Invece la Cfw vuole fare la differenza, a cominciare da subito: “Ci sono rimasti meno di dieci anni per invertire gli effetti devastanti del cambiamento climatico sul pianeta e sulle persone, e stiamo già assistendo al suo impatto catastrofico. È semplice: non si può accettare lo status quo”, ha continuato.
Tra i requisiti minimi per le maison sostenibili, garantire che gli indumenti invenduti non siano distrutti e utilizzare almeno il 50% di tessuti biologici o riciclati nelle nuove collezioni. Ma anche ripensare i propri show perché diventino a “rifiuti zero”, ossia ogni risorsa impiegata sia riciclabile. E monitorare costantemente la carbon footprint delle sfilate – vale a dire le emissioni di gas serra necessarie affinché un evento si svolga – per ridurla sempre più, fino ad arrivare a “impatto zero”.
Le bottiglie di plastica monouso sono già state bandite dalla Cfw, le grucce in plastica per appendere gli abiti lo saranno entro i prossimi due anni. Nel frattempo durante la settimana della moda scandinava ospiti e modelle si sono mossi per la città solo su auto elettriche, e si stanno valutando soluzioni digitali che consentano all’audience mondiale di partecipare, in futuro, senza imbarcarsi su un aereo.
La strategia proposta da Copenaghen mira all’ambiente, ma non perde di vista le persone: sostenibili devono essere anche le condizioni di lavoro – rispettose dei diritti umani e sicure per quanto riguarda la salute dei lavoratori – mentre i brand devono impegnarsi attivamente per aumentare la consapevolezza dei consumatori e cercare di porre un freno alle abitudini fast consuming (dove ogni cosa è usa e getta e invecchia rapidamente) che caratterizzano il mondo della moda.
Con il suo manifesto, la fashion week danese persegue tre degli obiettivi di Agenda 2030, l’impegno delle Nazioni Unite per uno sviluppo sostenibile: produzione e consumo di risorse responsabili, agire per il clima e unire le forze per avere successo nell’impresa.
Agli attivisti di Extinction rebellion – il gruppo ambientalista che a settembre 2019 ha inscenato in Gran Bretagna il funerale della settimana della moda di Londra, con l’intento di sensibilizzare contro le conseguenze rovinose della fast fashion – risponde la città di Amleto. E il messaggio non lascia dubbi: “Vogliamo essere la capitale della moda sostenibile”.