È il nome che ricorre più spesso in questi giorni come il presidio che deve stabilire se è influenza stagionale o il temuto coronavirus. L’Istituto Spallanzani di Roma fa questo e altro. Ed è qui che è stato isolato il coronavirus da un team di scienziate. Ha più di 400 tra medici, infermieri e personale sanitario in genere, 152 posti letto e una dotazione di laboratori e attrezzature per lo studio e la cura di patologie infettive pericolose, dalla Sars ad Ebola, unica in Italia e riconosciuta anche a livello mondiale. Ed è qui che sono stati ricoverati i due turisti cinesi ed è lo stesso ospedale che nel 2015 curò i due casi italiani di Ebola.
La storia dell’Istituto inizia nel 1936, quando viene fondato per la lotta alle malattie infettive con particolare ‘focus’ sulla poliomelite. La struttura viene ricostruita negli anni ’90 in risposta all’emergenza Hiv, e viene dichiarata Irccs nel 1996, mentre dal 1995 è ‘polo di riferimento nazionale per Ebola o altri virus emorragii’ì. Successivamente il ministero della salute ha identificato lo Spallanzani quale polo nazionale di riferimento per il bioterrorismo, e polo nazionale di riferimento per la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS).
Attualmente l’Istituto detiene uno dei due laboratori italiani di livello di biosicurezza 4, il massimo previsto (l’altro è al Sacco di Milano) e cinque laboratori di livello 3; una banca criogenica che può ospitare fino a 20 contenitori di azoto liquido e 28 contenitori a -80° C, dotata di un laboratorio di livello 3 per la manipolazione e la preparazione dei campioni da congelare. In questi laboratori, progettati per evitare qualsiasi fuoriuscita di aria potenzialmente contaminata, vengono analizzati i campioni. A questi si aggiungono stanze attrezzate per l’isolamento totale dei pazienti, come quelle che ospitarono i due pazienti con Ebola.
Lo Spallanzani, insieme al Sacco di Milano, ospiterà i casi più gravi di coronavirus che si dovessero manifestare sul territorio nazionale, mentre il protocollo del ministero prevede che i casi vengano prima ricoverati nel reparto di malattie infettive di un ospedale della regione in cui si trovano. Il laboratorio dell’Istituto è fra quelli designati per le analisi di conferma su campioni eventualmente trovati positivi, oltre a fare quelle sui campioni ‘sospetti’ della regione Lazio.