Un “intervento normativo organico in materia di affitti brevi” con cui “impedire lo stravolgimento dei tessuti urbani delle nostre città, evitando che diventino esclusivi resort per turisti“. Perché “le case non sono alberghi e l’Italia non può essere ridotta a un paese di affittacamere“. A lanciare l’appello al governo sono stati il Comitato pensare urbano di Bologna – Laboratorio per il Diritto alla Città e la Rete Set – Sud Europa di fronte alla turistificazione. La lettera è stata poi sottoscritta da decine tra docenti, amministratori locali, urbanisti (anche l’ex assessore all’urbanistica di Roma Capitale Paolo Berdini), sindacalisti, associazioni studentesche che denunciano un’emergenza abitativa nelle città universitarie. Oltre che dall’Unione inquilini. La richiesta di regole chiare per un fenomeno che cambia i connotati dei centri urbani arriva a una settimana dal blitz con cui il Pd ha prima presentato e poi rapidamente ritirato un emendamento ad hoc al decreto Milleproroghe. Il governo si è impegnato a intervenire con il collegato alla Legge di Bilancio sul turismo.
“Pochi giorni fa”, ricorda l’appello, “un emendamento al Decreto Milleproroghe, presentato dai deputati Nicola Pellicani e Rosa Maria Di Giorgi del Partito Democratico, mirava ad aggiornare la normativa esistente, introducendo le norme già adottate da centinaia di piccole e grandi città internazionali. L’emendamento prevedeva tre importanti novità, tre misure di buon senso, che nel corso degli ultimi anni sono state richieste a gran voce da cittadini e organizzazioni sociali: la possibilità per i comuni di rilasciare una licenza, dando il potere alle amministrazioni di stabilire il numero massimo di concessioni annue, un limite di giorni su base annua in cui poter rendere disponibile l’immobile sulle piattaforme online nel caso dell’attività occasionale e un criterio di distinzione tra attività occasionale e imprenditoriale“. In particolare chi affitta più di tre camere avrebbe dovuto dimostrare di non svolgere attività imprenditoriale, pena l’obbligo di aprire partita Iva: un’inversione dell’onere della prova, insomma.
Ma “i deputati di Italia Viva, capeggiati da Luigi Marattin e incalzati da alcune associazioni di host, hanno fatto saltare l’emendamento in una riunione della maggioranza governativa”. Marattin aveva spiegato che “migliore regolamentazione” è sì necessaria, ma questo non deve tradursi “con maggiore burocrazia, con il blocco del mercato e con il freno ad un’attività che finora ha stimolato turismo e ha portato benefici a tutti”. Secondo i firmatari dell’appello, però, il turismo veicolato da queste piattaforme, si legge, “non porta “benessere per tutti”: sono esclusi da questo mercato tutti coloro che non posseggono seconde e terze case da mettere a reddito o un’attività in posizione centrale. Sono esclusi molti dei lavoratori che svolgono un lavoro precario, sommerso e sottopagato. Infine, il settore del turismo è un settore a basso valore aggiunto”. In questo contesto “la politica ha il compito di promuovere politiche eque e condivise, urgenti in Italia per affrontare crescenti tensioni sociali in tema di casa e lavoro“.
La richiesta, quindi, è che “nel Collegato alla Legge di Bilancio sul turismo siano ripresi i contenuti previsti dall’emendamento”.