Ogni forma di tutela è sana finché siamo in grado di metterla in discussione. A difenderci abbiamo imparato tutti, chi più chi meno e, credo, la maggior parte abbastanza velocemente. I rapporti con gli altri ci mettono alla prova appena siamo in grado di crearci un pensiero logico sopra.
Impariamo presto che l’altro può avere bisogni, pensieri, sentimenti diversi dai nostri e se può, ce li propone, talvolta impone, senza farsi eccessivi problemi, soprattutto se siamo in un rapporto di dipendenza o se pensiamo abbia l’autorevolezza per farlo (vale anche il procedimento inverso, non crediate di salvarvi a tal proposito).
In qualche modo, i bisogni dell’altro ci arrivano, sia che siamo in grado di interpretarli correttamente (e ne abbiamo la volontà), sia che li scambiamo per tutt’altro (e su questo siamo piuttosto bravi). Se siamo attaccati, ci difendiamo; ma in realtà basta solo che ci si senta attaccati, pur non essendo nelle intenzioni dell’altro farlo (sentirsi attaccati non corrisponde a esserlo) e alziamo subito i nostri bei muri, sempre a portata di mano, nonostante la loro consistente mole.
Che la miglior difesa sia l’attacco è talmente noto che, a scriverlo, pecco inevitabilmente di ineguagliabile banalità. A quel punto, l’attacco verso qualcosa per cui sentiamo di doverci difendere diventa reale e intenzionale e l’altro legittimamente risponde. Benvenuti nel conflitto, figlio viziato dell’incomprensione e della voglia d’avere sempre ragione.
Non è mia intenzione però maltrattare il conflitto in quanto umano, inevitabile e foriero di buone potenzialità. Se si sa gestire, sono gli ostacoli che allenano la mente e lo spirito, non la vita facile. Credo che vita facile sia un ossimoro sottovalutato. Certo, troppi ostacoli, risorse personali limitate, particolari contesti e stati emotivi intensi possono portare a non gestire il conflitto, con la conseguenza di essere portati a fuggire oppure a diventare aggressivi.
Conflitto deriva dal latino conflictus e significa urto. L’urto è una sorta di cozzare improvviso e di un certo impatto, uno scontro. Siamo abituati a dare subito un connotato negativo allo scontrarsi, urtarsi, combattere, ma esso implica un contatto che la mancanza di controllo della forza caratterizza.
Ma se imparassimo a controllare questa forza? Con forza minore lo scontro potrebbe invece tramutarsi in un incontro? Beh sì, non ci sono motivi per cui questo non debba succedere, a patto che lo si voglia e se ne acquisiscano le capacità.
Ma cosa significa allora che ogni forma di tutela è sana finché siamo in grado di metterla in discussione? Significa che non possiamo evitare di difenderci e che sostanzialmente è qualcosa di naturale, ma che possiamo (e forse dovremmo) anche imparare a scegliere quando difenderci e quindi fare anche delle valutazioni diverse a seconda dei contesti, delle persone e dell’evoluzione delle proprie capacità di prendere sempre maggiore consapevolezza dei propri processi mentali e di quelli altrui attraverso l’esperienza, la logica e soprattutto l’empatia.
Ogni volta che impariamo ad abbassare la guardia, comprendendo che i bisogni che spingono l’altro non sono necessariamente una minaccia, nutriamo al meglio le relazioni su cui possiamo permetterci di investire maggiormente. Dobbiamo investire nelle relazioni anziché esserne investiti, la chiave del benessere mentale.
Vignetta di Pietro Vanessi