Si presenta con una maschera antigas, ha due album all’attivo e ancora prima di salire sul palco dell’Ariston è diventato il caso politico della prossima edizione del Festival di Sanremo: è Junior Cally, rapper romano famoso più per gli attacchi contro la sua musica che per la musica in sé. Dietro la maschera c’è Antonio Signore, 29 anni, romano, rapper sotto contratto con la Sony.
Junior Cally ha raccontato – romanzandola – la sua adolescenza in un libro “Il principe, meglio essere temuto che amato” dove spiega com’è nato il suo alter ego musicale: “Antonio ha paura dei mostri che ha dentro di sé, Junior Cally è libero, e lucido”. Nel libro racconta di essere cresciuto nella periferia romana e di aver convissuto per quattro anni con una presunta leucemia che poi si rivelò non essere tale ma che lo segnò a tal punto da sviluppare un disturbo ossessivo compulsivo della personalità.
Nelle sue canzoni, i temi sono gli stessi della trap e del rap italiano: alcol e sigarette, accessori di lusso e macchine lanciate a duecento all’ora. Crisi esistenziali, notti consumate con il drink in mano, la pula, la droga, i “cuori neri”, i cuori spezzati, le regine di cuori che dagli uomini si fanno corteggiare a suon di Louboutin e cene pagate. E ovviamente, il sesso. In “Magicabula” dice che rimanda a casa le ragazze con le calze rotte e che la “tipa è una scocciatura, ma è carina la sua scollatura”. Il brano più esplicito è “Gioia”, con la tipa che “beve poi ingoia/Balla mezza nuda, dopo te la da/Si chiama Gioia/perché fa la tr*ia, sì, per la gioia di mamma e papà”. In “Auto blu” invece esordisce con “Sta cavalla di scena è tr**a, la galoppo” e in “Ronaldo” dice che “mentre guido lei mi spo***na”. Per questi versi da più parti è stata chiesta la sua esclusione dal Festival di Sanremo, per i messaggi contenuti nei suoi testi “che inneggiano allo stupro e al femminicidio”: sono scese in campo diverse associazioni per i diritti delle donne, politici come Matteo Salvini e addirittura il presidente della Rai Marcello Foa.
La Casa Internazionale delle Donne ha inviato una lettera alla Commissione di Vigilanza Rai, segnalando i versi violenti come “L’ho ammazzata, le ho strappato la borsa/C’ho rivestito la maschera” o sessisti: “State buoni, a queste donne alzo minigonne». Ma i suoi brani non sono molto lontani dal resto che la scena rap contemporanea: “Sigarette” è quasi una ballad post cuore spezzato, in “Tutti con me” sogna il successo e di “fare la storia”. In “Ferite” snocciola considerazioni esistenziali tipo “La vita quanto è bella ma a volte che male fa”. E infatti, dice, “torno da mamma”.