Pavel Durov, amministratore delegato e fondatore di Telegram, popolare app di messaggistica istantanea, ha detto la sua sulla violazione dell'iPhone del patron di Amazon, Jeff Bezos, avvenuta attraverso WhatsApp. L'app infatti non sarebbe sicura e ospiterebbe anzi apposite backdoor al servizio di governi e agenzie.
WhatsApp non è abbastanza sicuro, parola di Pavel Durov, amministratore delegato e fondatore di Telegram, azienda che sviluppa l’omonima app di instant messaging, concorrente proprio di WhatsApp. Detta così, potrebbe sembrare un’affermazione interessata e di parte, ma Durov ha i suoi buoni motivi tecnici per fare certe affermazioni e non esita a spiegarli nel fare riferimento alla violazione dell’iPhone di Jeff Bezos, avvenuta poco tempo fa proprio attraverso WhatsApp.
Lo scorso gennaio infatti The Guardian ha rivelato in un articolo come lo smartphone del patron di Amazon sia stato violato ad opera di ignoti, che hanno sottratto informazioni personali. Nell’occasione Facebook, azienda che sviluppa WhatsApp da alcuni anni, ha addossato la colpa ad iOS, il sistema operativo degli Apple iPhone, ma Durov non è d’accordo.
Anzitutto, argomenta Durov, la vulnerabilità di WhatsApp sfruttata dagli hacker non sarebbe presente unicamente nella versione dell’app per iOS, ma anche in quelle per Android e Windows Mobile, mentre al contrario non è presente in altre app di messagistica, cosa che di per sé basterebbe già a discolpare il sistema operativo mobile della Mela.
Per il fondatore di Telegram dunque il problema starebbe altrove, specificamente nel codice sorgente di WhatsApp, che nessuno può controllare in quanto non è di tipo open source ma proprietario, al contrario di Telegram, il cui codice è liberamente disponibile su GitHub. In particolare Durov è convinto che l’app concorrente ospiti al suo interno specifiche backdoor sfruttabili da Governi e agenzie di vario tipo e questo sarebbe anche il motivo per cui WhatsApp funzionerebbe in Paesi come Russia e Iran dove invece Telegram e altri software simili sono proibiti.
Non possiamo sapere chi abbia ragione tra WhatsApp e Telegram, ma di certo quanto accaduto non fa che gettare un’ulteriore ombra sulla gestione della privacy e dei dati personali da parte dei colossi dei social e di altre app di messaggistica, utilizzate da decine di milioni se non miliardi di persone in tutto il mondo, soprattutto quando non c’è alcuna trasparenza in merito.