Cinque pezzi da novanta tra gli attori, quattro pezzi da novanta e uno tutto da inventare tra le attrici. La corsa all’Oscar come miglior attrice/attore non protagonista 2020 non è mai stata così combattuta e ricca di glamour come quest’anno. Basterebbe soltanto mostrare la coppia di gioielli presi di peso da The Irishman e l’Oscar potrebbe chiudere baracca prima di cominciare. Al Pacino, nel ruolo del sindacalista in odor di mafia Jimmy Hoffa, e Joe Pesci, direttamente la mafia con il suo Russell Bufalino. Trattenuta, riflessiva, inattesa l’interpretazione di Pesci. Affabulante, travolgente, martellante, quella di Pacino. Così se il primo è una presenza sorniona e sottotraccia fin dai primi minuti di film, il secondo irrompe come un tifone a metà racconto e con una forza centripeta attira tutto il film verso di sé, fino alla sua improvvisa “scomparsa”.
Curioso che i due si siano già battuti a singolar tenzone nella stessa categoria nel 1991 con Pacino candidato per Dick Tracy e Pesci per Quei bravi ragazzi. Vinse tra l’altro Pesci che, qualcuno ricorderà, pronunciò uno dei discorsi più brevi di ringraziamento della storia dell’Academy: “È un mio privilegio, grazie”. Pesci segna comunque tre nomination sempre come attore non protagonista in The Irishman, Quei bravi ragazzi e nell’indimenticabile Toro Scatenato. Insomma un puro prodotto artistico della Scorsese factory. Mentre sull’altra sponda Alfredo James Pacino nella sua pur immensa carriera segna nove nomination (quattro da comprimario e cinque da protagonista tra cui Serpico, Padrino II, Quel pomeriggio di un giorno da cani e una chicca come È giustizia per tutti) e un Oscar vinto per un film francamente non memorabile come Profumo di donna.
Lo scontro è davvero tra titani se poi ci infiliamo l’outsider più amato e coccolato dello star system hollywoodiano: Brad Pitt. Il suo Cliff Booth di C’era una volta ad Hollywood è un po’ il passo ritmico del film di Tarantino e, alla fine dei conti, come per tutti i film “corali” tarantiniani, forse più protagonista del protagonista Leonardo DiCaprio. Cliff è attacco e difesa insieme rispetto al pericolo, è lui che esplora e contatta la setta di Manson e attraverso la sua presenza apre il racconto oltre la vacuità del set dell’isterico compare Di Caprio. Inutile dire che superati i 50 anni di ruoli così ne arriveranno altri, ma questo Oscar avrebbe un sapore speciale di consacrazione di una carriera arrivata comunque alla svolta della maturità. Curioso infine come Pitt sia stato in nomination tre volte come produttore per il miglior film (Moneyball, The big short) e l’abbia vinto per 12 anni schiavo, due come attore non protagonista e solo uno come miglior attore per Il Curioso caso di Benjamin Button.
Ci sono altri due big tra i candidati che però non sembrano avere molte chance di vittoria. Intanto Anthony Hopkins che ne I due papi interpreta l’arcigno ex pontefice Joseph Ratzinger in un film in cui il peso è solo sulle performance dei due protagonisti (l’altro è Jonathan Pryce/Papa Francesco). Hopkins vinse un memorabile Oscar come attore protagonista (1992) all’apice della carriera per l’immortale Hannibal Lecter de Il silenzio degli innocenti. Tra le cinque nomination della sua carriera (tre protagonista, due comprimario), tra l’altro, Hopkins venne ricandidato nel 1994 per il maggiordomo di Quel che resta del giorno e lì dovette soccombere a favore di Tom Hanks che vinse il suo primo Oscar da protagonista in Philadelphia. Il 63enne californiano è il quinto componente del quintetto per il suo Fred Rogers interpretato in Un amico straordinario. Ruolo bonario e privo di ombre, un po’ il fil rouge della carriera di Hanks, due Oscar vinti (Philadelphia appunto, e l’anno dopo per Forrest Gump) e un’immagine sobria, spiritosa, eloquente di una classicità hollywoodiana alla Cary Grant o Jimmy Stewart.
Fosse per noi l’Oscar come attrice non protagonista sarebbe da assegnare senza indugi a Kathy Bates per la sua protettiva e incantevole mamma in Richard Jewell, l’ultimo capolavoro di Clint Eastwood. Bates che in bacheca può lucidare uno dei trofei più cristallini della storia degli Oscar, la statuetta come miglior attrice per Misery (1991), ha 71 anni e seguendo una logica un po’ mortuaria che spesso accompagna questa casella degli Oscar avrebbe età e ruolo perfetti per questo riconoscimento. A farle da concorrenti troviamo intanto Laura Dern, avvocatessa californiana rampante, cinica e graffiante in Marriage Story di Noah Baumbach. Particina ben cesellata e sopra le righe, magari buona per farsi quattro risate e caricare le doti di scrittura e l’andamento generale del film, ma non proprio memorabile. Stesso discorso per Scarlett Johansson, quest’anno in doppia nomination, protagonista per Marriage Story e non protagonista per il comedy drama ambientato nella Germania hitleriana Jojo Rabbit. Tra le fila delle attrici non protagoniste la fascinosa Scarlett offre un ruolo del tutto ordinario, mamma del protagonista JoJo che nasconderà una ragazzina ebrea dalla persecuzione nazista. Il gesto dal valore simbolico vale più dell’interpretazione in sé, ma quando si parla della piccola Johansson va bene tutto.
A chiudere il quintetto ci sono Margot Robbie per Bombshell (in Italia a fine marzo) e Florence Pugh per Piccole donne. Robbie è alla sua seconda nomination (la prima come attrice protagonista per Tonya nel 2018 era davvero una nomination azzeccata) e nel film di Jay Roach interpreta una delle tre giornaliste (le altri sono la Theron in nomination come miglior attrice e Nicole Kidman) che accusarono di molestie il guru di Fox News, Roger Ailes. Nomination molto, troppo politica, che non va da nessuna parte se non nella direzione di una bella e ricca carriera per la Robbie che può sfruttare il mix tra talento e bellezza che gli è proprio fin dagli esordi. Sulla Pugh che dire… se non si rimpinguava il bottino delle nomination di Piccole donne, l’unico film a zonzo tra gli Oscar 2020 con una regista donna, all’Academy si sarebbero sentiti in colpa. Pugh è Amy, oltretutto la più viziatina e meno incombente del quintetto delle sorelle March della Alcott. Vedi com’è strambo il destino degli attori: sconvolgi e travolgi il pubblico con un personaggio pazzesco come la Catherine di Lady Macbeth di Oldroyd e nessuno ti nomina, ma nemmeno di guarda, poi interpreti una particina e finisce sul red carpet in un amen.