di Aurora Notarianni *

Raccolgo il guanto della sfida lanciato dal direttore Marco Travaglio con il suo editoriale di domenica 2 febbraio 2020 e provo a dire la mia qui sul blog Area pro labour che sono orgogliosa di curare e su cui intervengo da qualche anno.

Non credo di andare fuori tema nello scrivere, questa volta, non del lavoro degli altri ma del mio ovvero del lavoro degli avvocati. Come lui chiede, provo a cimentarmi nell’impresa a tutela del nome e della professione esercitata, con abnegazione e spirito di sacrificio, certo maggiore del mio, da parte degli avvocati italiani coraggiosi e forti perché adusi a sopportare non solo il peso di clienti spesso intemperanti quanto piuttosto l’albagia diffusa in taluni magistrati.

Ebbene, io ho difeso e continuerò a difendere le cause perse.

Quelle che giacciono in fase di indagini preliminari per anni senza che il pm abbia la minima cura del termine previsto dal codice per la loro conclusione. L’azione penale è sì obbligatoria ma non lo sono i tempi del suo esercizio e, talvolta, armadi e cassetti sono comodi spazi per dimenticare.

Quelle che invecchiano nei tribunali perché non trovano una autorevole direzione del dibattimento ed è più facile che si prolunghi per anni senza mai serrare i tempi e i modi di assunzione della prova per la decisione in tempi rapidi e ragionevoli.

Quelle che levitano in attesa del giudizio d’appello perché la Corte non organizza il lavoro con udienze “tematiche” e i giudici non sono adusi al deposito di sentenze con motivazione contestuale, il cui termine di impugnazione è di soli 15 giorni.

Quelle che mortificano i diritti della parte civile quando il giudice (praticamente sempre) non liquida il danno neppure se è solo morale e quantifica le spese legali al di sotto dei minimi di tariffa.

Io ho difeso le cause perse!

Quelle della povera gente che si è vista inghiottire la casa nel disastro dell’alluvione di Giampilieri, processo senza responsabili nonostante centinaia di migliaia di euro stanziati dalla protezione civile non spesi o spesi male, a ragione di una certa timidezza dei pm nella contestazione dei reati di natura colposa e, dunque, a prescrizione breve.

Quella di un magistrato, privato dal contraddittorio, innanzi al suo giudice civile dopo un processo penale durato più di 20 anni che per infinite volte è stato più facile rinviare che decidere.

Quelle che avrebbero dovuto accertare la verità dei gravissimi crimini contro l’ambiente che ho visto sfumare nella prescrizione lasciando intatti i danni ed i pericoli ulteriori causati dalle lottizzazioni abusive, dall’inquinamento dell’aria, del suolo e del mare.

Io ho difeso le cause perse ma non ho la responsabilità della sconfitta. Gli avvocati non sono artefici della durata del processo. La durata del processo dipende dai magistrati e dalle risorse a loro disposizione, invero pochi i primi e scarse le seconde. E’ qui che occorre ricercare le cause dei ritardi ed è qui che occorre prevedere rimedi e cure.

Riappropiarsi delle cause perse, direttore, significa cercare in esse quel nocciolo di verità che mira a sconfiggere le politiche totalitarie della modernità, per dirla con Slavoj Zizek nel suo saggio “in difesa delle cause perse”.

Riappropiarsi delle cause perse significa comprendere l’arrogante miseria della criminalità non solo di quella comune, come ha ben descritto Roberto Scarpinato a pagina 4 della stessa edizione del Fatto quotidiano, e potrà contribuire a chiarire per quale motivo la giustizia efficiente non dipende dalla prescrizione dei reati e che non è con la prescrizione dei reati che gli avvocati vincono le cause.

E’ quello che il giudice Scarpinato definisce “l’insidioso fronte interno” dell’attività criminale che lo Stato dovrebbe neutralizzare e questo fronte non va a processo se non per un misero 0,3%. Ed in questo nulla possono gli avvocati.

La certezza del diritto e l’effettività della tutela sono beni inalienabili garantiti e non limitati dall’esercizio del diritto di difesa e gli avvocati ad esse contribuiscono ogni giorno rispondendo, sempre e personalmente, del loro operato.

E’ il diritto di difesa, estremo baluardo di ogni ordinamento democratico, che le Camere penali hanno inteso tutelare e non meritano alcun dileggio non avendo esse provocato quella sovraesposizione mediatica di taluni magistrati a cui non può sfuggire il valore della difesa e, in ultima analisi, della libertà di difesa anche delle cause perse perché, come ci ha insegnato qualche anno fa un magistrato maestro, Nino Caponnetto, “le battaglie per la legalità non sono mai perse”.

* Qui il mio cv.

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