Non è punibile da un punto di vista disciplinare il medico che agevola il suicidio assistito, nei casi particolari previsti dal verdetto della Corte Costituzionale. Così ha deciso all’unanimità la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. L’aggiornamento del codice di deontologia dei medici segue la sentenza della Consulta emessa a settembre in merito al caso Cappato.
L’Ordine ha stabilito che “non sarà punibile dal punto di vista disciplinare, dopo attenta valutazione del singolo caso, il medico che liberamente sceglie di agevolare il suicidio, ove ricorrano le condizioni poste dalla Consulta”. È stato così integrato con indirizzi applicativi l’articolo 17 del codice deontologico che prevede che il medico, anche su richiesta del paziente, non deve attuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte. Negli indirizzi, da oggi parte integrante del codice di deontologia medica, si afferma che “la libera scelta del medico di agevolare, sulla base del principio di autodeterminazione dell’individuo, il proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi da parte di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli (sentenza 242/19 della Consulta), va sempre valutata caso per caso e comporta, qualora sussistano tutti gli elementi sopra indicati, la non punibilità del medico da un punto di vista disciplinare“.
Ciò che cambierà nella pratica è che i Consigli di disciplina, come spiega il presidente della Federazione Filippo Anelli, “saranno chiamati a valutare ogni caso nello specifico per accertare che ricorrano tutte le condizioni previste dalla sentenza della Corte. Se così sarà, il medico non sarà punibile dal punto di vista disciplinare. In questo modo abbiamo voluto tutelare la libertà di coscienza del medico, il principio di autodeterminazione del paziente e l’autonomia degli Ordini territoriali”.
Il Consiglio nazionale della Federazione, composto dai 106 presidenti degli Ordini territoriali, in questo modo ha voluto aggiornare il codice dopo che la Consulta ha individuato un’area circoscritta in cui l’incriminazione per l’aiuto al suicidio non è conforme alla Costituzione. Si tratta dei casi nei quali l’aiuto riguarda una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (come idratazione e alimentazione artificiale) e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni consapevoli. Se ricorrono tutte queste circostanze, l’agevolazione del suicidio non è dunque punibile da un punto di vista penale.
Filippo Anelli ha detto che il Consiglio ha”scelto di allineare anche la punibilità disciplinare a quella penale in modo da lasciare libertà ai colleghi di agire secondo la legge e la loro coscienza. Restano fermi i principi dell’articolo 17. E ciò in analogia con quanto disposto dalla Corte che, al di fuori dell’area dell’area delimitata, ha ribadito che l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non è, di per sé, in contrasto con la Costituzione ma è giustificata da esigenze di tutela del diritto alla vita, specie delle persone più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento intende proteggere evitando interferenze esterne in una scelta estrema e irreparabile”.