Il via libera era arrivato da un’oretta alle 4.45: “Deviatoio n. 05 disalimentato e confermato in posizione normale come da fonogramma n. 78/81 fino a nuovo avviso”. Quel fonogramma – che Ilfattoquotidiano.it pubblica in esclusiva – inviato prima del deragliamento del Frecciarossa 1000 è la chiave di quanto accaduto a Livraga, vicino a Lodi. Era la conferma fornita al Sistema di controllo ferroviario dell’Alta Velocità Milano-Firenze: era stata tolta possibilità di manovrare il deviatoio e allo stesso tempo, soprattutto, si era data comunicazione che tutto era in regola al termine dei lavori di manutenzione effettuati nel punto di scambio. I binari, insomma, permettevano ai treni di passaggio di andare verso Bologna.

Invece, come spiegato dal procuratore di Lodi Domenico Chiaro, il binario “non era in posizione corretta”. Nel sistema interno quindi tutto risultava in ordine e l’apparecchiatura a bordo del treno 9595 partito da Milano Centrale e diretto a Salerno non avrebbe mai potuto “leggere” che la posizione del binario fosse quella errata, perché gli operatori intervenuti sulla tratta avevano dato il via libera dicendo che la manutenzione era terminata e il binario riposizionato.

Sarà uno degli elementi al centro dell’inchiesta della procura lodigiana, che farà luce sul disastro ferroviario e omicidio colposo plurimo. “Stiamo verificando l’ipotesi dell’errore umano”, ha detto Chiaro poche ore dopo l’incidente per il quale al momento non ci sono indagati. Di certo durante i lavori sul deviatoio oleodinamico, che permette ai treni di passare da un binario all’altro, qualcosa è andato storto.

Non solo, come ha spiegato il procuratore Chiaro, era in una posizione sbagliata, ma al sistema di controllo sarebbe stata fornita un’informazione scorretta che, di fatto, ha fornito il via libera alla circolazione dei treni. E il Frecciarossa 1000 diretto a Salerno, primo treno a passare in quel tratto dopo la chiusura dei lavori, è passato sullo scambio a piena velocità ed è finito fuori dai binari provocando la morte dei macchinisti Giuseppe Cicciù e Mario Di Cuonzo.

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