Prendere quel che passa il convento. Poche pretese da questa corsa all’Oscar per la miglior attrice protagonista 2020. Guizzi, lampi, performance memorabili non ce ne sono, ma soltanto parecchia, scontata ordinarietà di mestiere. Mettiamo intanto in ordine d’importanza le ragazze finite in nomination. Ha già vinto il Golden Globe, quindi la strada sembra segnata. Interpreta una star di quelle che Hollywood non ha mai dimenticato, pur non avendola consacrata a dovere, quindi il risarcimento simbolico doppio è garantito. Parliamo di Renée Zellweger, 50 anni, alla quarta nomination dopo quelle per Il diario di Bridget Jones (2002), Chicago (2003), Ritorno a Could Mountain (2004, vittoria come attrice non protagonista).
In Judy di Rupert Goold, la Zellweger torna alla mimesi corporea, di make-up, di smorfie e leggero inarcamento delle spalle, per interpretare la matura Judy Garland nell’ultimo sofferto anno di vita e di carriera in quel di Londra nel 1969. Il film è la Zellweger con il niente intorno, ma un niente davvero poco ispirato e ragionato se non in funzione delle varie performance live (comunque la Zellweger è doppiata in modo smaccato). Che vinca lei è oramai un dato assodato da bookmaker e addetti ai lavori, anche se la texana ha attraversato un periodo difficilissimo, tra il 2010 e il 2016 di pressoché totale assenza dal grande schermo, per poi tornare con scelte alquanto discutibili come Bridget’s Jones diary.
A ridosso della Zellweger c’è senza dubbio la Scarlett Johansson di The Marriage Story. Mezzo film per lei, mezzo film per Adam Driver, ma la coperta del matrimonio che si disfa ideato da Noah Baumbach la tira lei. Una parte sottilmente negativa, vagamente maligna, irreprensibilmente disgregatrice, è forse la prima volta che Scarlett interpreta la donna matura, decisa e decisiva in un contesto familiare e casalingo middle class. Un ruolo giocato su piccoli gesti di affetto, sguardi fuori campo, silenzi improvvisi, dentro ad un involucro al femminile un po’ vecchia maniera (si vedano i momenti “recitati” come nel musical improvvisato in casa in sottofinale). Insomma se l’Academy ci vuole sorprendere dia a Scarlett quel che le spetta.
Sull’interpretazione di Saoirse Ronan in Piccole donne, che dire… quanta generosità c’è stata tra i votanti. La sua è una Jo March tutte musetto puntuto e algido sguardo lontano oltre lo spettatore. Bah, contento chi guarda, contenti tutti. Ma tra una decina d’anni di certo non ci ricorderemo della Ronan come esempio di magnetismo e di cuore riscaldato dal suo stare in scena. Ben tre le nomination come attrice protagonista in quattro anni – Brooklyn, Ladybird e Piccole donne– che gridano un tantino vendetta (il combinato della genia Gerwig è davvero una tassa politically correct insopportabile) la 26enne Ronan è forse stata più bravina in Espiazione (2008) quando venne candidata appena quattordicenne come attrice non protagonista.
Infine, a dire la verità chiediamo venia: non abbiamo visto Bombshell e men che meno Harriet (nemmeno previsto in uscita in Italia). Concedeteci il beneficio d’inventario quando diciamo che queste nomination sanno tanto di riempitivo politico: Charlize Theron nella parte della giornalista che accusa il satrapo mogul delle news; Cynthia Erivo è Minty Ross una schiava afroamericana che nel Maryland del 1840 liberò decine di schiavi e fuggì verso il Canada prima della guerra d’indipendenza.