La notizia è semplice, secca, facile da riportare, niente possibili pluri-interpretazioni, dietrologie, letture alternative. Gennaio 2020 è stato il gennaio più caldo di sempre, tanto che in Europa la temperatura è stata di 3,1 gradi maggiore rispetto al trentennio 1980-2010. Una notizia del genere, se capita nel suo contenuto, dovrebbe stare in apertura di tutti i notiziari, tutti i tg e soprattutto campeggiare sulle prime pagine dei giornali. Perché è un evento in sé grave, inquietante, foriero di conseguenze negative, anzi tragiche, come pure un bambino potrebbe capire.
E invece no. Oggi leggendo numerosi giornali non ho praticamente trovato la notizia, che almeno ieri era circolata su alcuni siti web. Scomparsa, probabilmente soppiantata da notizie meno importanti, come il panico da virus cinese o, soprattutto, il festival della canzone italiana, sul quale i quotidiani hanno speso pagine e pagine.
Onestamente, faccio fatica a spiegarmi come mai i giornali non abbiano ancora preso un andamento regolare e costante nel dare notizie climatiche. Lo fanno a periodi, non tanto seguendo le urgenze ma quelle che loro concepiscono come urgenze – vedi Venezia, che lo è stata – e trascurando invece quelle che sono urgenze – vedi aumento delle temperature – ma che loro non riescono a leggere come tali.
Il perché mi continua a risultare veramente incomprensibile, specie se aggiungiamo ai dati sulle temperature di gennaio le anomalie assurde che si sono verificate in questo “inverno”, dai 19 gradi in Norvegia ai 26 a Torino, alla sparizione dell’inverno in Russia. Roba che dovrebbe far accapponare la pelle. Urgenze che dovrebbero spingere sia l’agenda pubblica che i giornali e tutti i media a parlarne.
Perché mi concentro sulle colpe dei giornali e non su quelle della politica? Perché probabilmente hanno, abbiamo una forza maggiore. Basta guardare come è stato portato in primo piano il tema del virus cinese, semplicemente pompandolo nelle prime pagine con titoloni a caratteri cubitali. I giornali, sempre di più, fanno l’agenda della politica.
I giornali e le tv, per esempio, hanno fatto nascere e crescere il fenomeno Sardine, rendendolo noto in poco tempo. Purtroppo questa potenza unica non viene messa al servizio della causa più grande, e cioè quella della lotta al riscaldamento globale. Qualcuno dirà che si tratta di dati così tragici che provocano impotenza, magari persino negli stessi giornalisti. Ma questo può valere per la gente comune, per chi non conosce il fenomeno del clima, le sue cause e come contrastarlo. Un giornalista dovrebbe sapere che l’aumento delle temperature non è un caso. Che è la conseguenza diretta di azioni precise. Che si sono strumenti che si possono e devono mettere in atto per abbassare le emissioni. Si può fare. E si deve dire come.
Onestamente, per me oggi nessun giornale che non metta il cambiamento climatico in prima pagina può dirsi un giornale che fa vera informazione. I cambiamenti anomali e folli di temperatura indicano che il cambiamento climatico sta accelerando. Suggeriscono un fatto angosciante, e cioè che potrebbero verificarsi fenomeni estremi che non possiamo controllare e tra questi fenomeni estremi ci sono anche picchi di temperature che magari in inverno non hanno conseguenze sulle persone (ma sull’agricoltura e sull’ecosistema sì), ma in estate potrebbero avere conseguenze gravissime. Un ecosistema instabile, nel quale si continua a immettere CO2, ci dovrebbe spingere a non dormire la notte. E invece ci appassioniamo – noi giornalisti, mica il pubblico – ai vestiti delle donne del festival.
Tante cose in realtà stanno cambiando. È sempre di questi giorni la notizia che gli italiani sprecano il 25% del cibo in meno. Vuol dire che un certo messaggio sta passando. Stanno cambiando aziende, in silenzio, stanno cambiando banche e assicurazioni, ciascuno a loro modo, ovviamente (e alcune facendo greenwashing, ma questo è un alto tema). E noi giornalisti cosa facciamo? Niente. Continuiamo a fare giornali e tg zeppi di inutile cronaca, beghe politiche, con rare eccezioni e naturalmente in questi giorni con inserti di pagine e pagine su Sanremo.
In pratica ci comportiamo come i social network, che seguono la tendenza della massa, che giustamente vuole canzonette e non apocalissi, invece di imporre noi l’agenda, invece che dare noi l’autorevolezza ai temi che lo meritano. E forse ci sarà pure una ragione allora se i giornali vendono sempre di meno. Ovvio, c’è la crisi delle edicole, c’è il web che dà assurdamente tonnellate di articoli gratis.
Ma sapete cosa mi ha detto ieri un’amica ambientalista, da tanti anni anche lei preoccupata – per usare un eufemismo – della crisi climatica, a proposito del The Guardian (uno dei giornali che sta combattendo la battaglia climatica con più vigore, direi forse il migliore)? “Io a loro i soldi glieli do, e anche tanti. Non potrei mai stare senza leggerli. Loro portano avanti la battaglia più importante, e lo fanno per noi. Smuovono i politici, danno le notizie che contribuiscono alla nostra salvezza. Devono continuare ad esistere e io sono disposta a pagare anche di più”.
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