Sanremo Due la Vendetta e io mi sono attrezzata con il Giurato. Un giurato fantasma? No, in carne ed ossa, Bruno Giurato, pensatore del Sud, caporedattore de linkiesta.it, e ci sintonizziamo sulla Madre di tutti i festival. Facciamo parte dell’esercito globale di sanremizzati visto che il Festival è in mondovisione per la delizia degli italiani d’Australia, Canada, Germania, Sudamerica, che si vedono un pezzetto d’Italia.
Non ci resta che prenderla con filosofia. Sanremo è Sanremo, e contestualizzo subito la prima banalità. “Questo è precisamente il motto di Parmenide: ‘L’essere è, invariabile, non cambia, né cambierà mai'”. Sanremo è esattamente così: l’invariabile dipendente della musica italiana. Non variano le polemiche, che ogni volta hanno questa o quella origine, ma poco cambia davvero poco. Non varia, ogni anno è lo stesso, l’intento un po’ “pedagogico” del festival, consustanziale a mamma Rai, un po’ come una maestra d’asilo è consustanziale a mamma e babbo veri”, filosofeggia il Giurato. E non varia la sempiterna scala da cui discende questa o quella presentatrice o co/conduttrice: è stata la volta di Diletta, di Rula, delle giornaliste raiunizzate tanto per non scontentare nessuno, ma è una contingenza ininfluente.
Non variano le stonature, che sono eventuali sì, ma costanti, durante la prima serata è toccato a Tiziano Ferro steccare due o tre volte alle prese con una canzone più grande di lui come Almeno tu nell’universo. Ieri è andato meglio. Giurato discetta e scimmiotta con la sua chitarra elettrica, una Fender vintage, le melodie sanremensi. Non è Antonio Onorato, ma ci sa fare. Un vino rosso sardo Cannonau aiuta a diluire i momenti di sbadiglio. Manca un quarto d’ora alla due quando la maratona Sanremo finisce. Tranquilli, si stanno attrezzando perché la finale di sabato duri fino all’alba!
Amadeus sgrana l’occhione, fissa la telecamera, sguardo scintillante più della giacca che indossa, sta per annunciare la Madre di tutte le sorprese, mi do di gomito con il Giurato, chissà chi varcherà la soglia: Lady Gaga, Madonna… preparo le pupille per carramba che sorpresa, e compare lei, Sabrina Salerno, quella che nel 1991 dettava con Jo Squillo: “Siamo donne, oltre le gambe c’è di più”. E per farcele vedere finge il primo inciampo sulla scalinata con tacco che si incastra (mannaggia al trappolone) e regala il primo brivido della serata.
Si passa dal “pallismo” canterino al palleggio sul palco fra Fiorello e il fuoriclasse della racchetta Novak Dokovic. Intanto si continua ad attingere al repertorio vintage: ecco la formazione originale dei Ricchi e Poveri, che sono i nostri Abba. Eh sì, per chi non lo ricordasse, il gruppo si sciolse per una questione di corna. Marina ( la bionda) se la faceva con il marito di Angela (la brunetta). Il trio divenne poi un duo (la brunetta e il bellone) che per le serate benefiche chiedono fino a 50mila euro a performance. Zucchero, il cappellaio matto, è sempre potente e convincente.
Sanremo è una liturgia pure quando fallisce, e non sarà un caso che Fiorello nella prima serata ha iniziato vestito da prete, ha continuato vestito da Maria De Filippi con telefonata in diretta della stessa conduttrice. Un’improvvisata studiata a tavolino.
Anche qui tensione verso l’eterno, l’invariabile. “Dipendente (dall’annata, dal conduttore, dalle beghe politiche sovra o sottostanti, dal casino in conferenza stampa), ma sempre invariabile. È precisamente la misura di invariabilità che si può permettere la tv italiana”, chiosa il Giurato. Vi piace? Non vi piace? Fatti vostri. Voi passerete, Sanremo resta.
Ieri per la giuria demoscopica Gabbani, già vincitore di due Festival, il primo categoria giovani, si conquista un altro primo posto. Mentre martedì sera aveva incoronato Le Vibrazioni (certo voto provvisorio). Noi, per il momento, ne abbiamo sentite poche.
Sanremo non passerà. Sanremo è Sanremo. Sanremo (bello, brutto, polemico, scassone, nuovo, vecchio, con un dato share, senza un certo share, con più o meno Tiziani Ferri) vi trascende. Fatevene una ragione.
PS. Vignetta per gentile concessione dall’archivio di Guido Ciompi